Diritto di famiglia, il giudice non può prescrivere la psicoterapia a un genitore in crisi con il figlio
Il giudice non può prescrivere a un genitore di intraprendere un percorso di psicoterapia per superare le criticità nel rapporto con il figlio. Lo ha chiarito la Cassazione che, con l’ordinanza 18222 del 5 luglio 2019, ha cassato e rinviato alla Corte d’appello di Perugia il decreto con cui il giudice di secondo grado aveva confermato il provvedimento del Tribunale.
La Corte di Perugia, in particolare, aveva chiarito che «dovendosi contemperare due diritti entrambi di rango costituzionale, l’uno del genitore di autodeterminazione e di scelta circa la propria salute e l’altro del minore a un percorso di sana crescita, la prescrizione del Tribunale di Terni, in quanto disposta nell’esclusivo interesse del minore, essendo funzionale al superamento delle criticità emerse nel rapporto madre-figlia, deve essere interpretata quale invito giudiziale rivolto alla ricorrente, essendo comunque rimesso alla libera autodeterminazione di quest’ultima, accoglierlo o disattenderlo».
Nel ribadire il principio di diritto già espresso con la sentenza 13506/2015, la Cassazione chiarisce come «la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità, comporta comunque, anche se ritenuta non vincolante, un condizionamento, per cui è in contrasto con l’articolo 13 e con l’articolo 32, comma 2, della Costituzione, atteso che, mentre l’intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore» e quindi rimane nell’ambito di cogenza dei provvedimenti giudiziari, la prescrizione di un percorso di sostegno personale, in capo ai genitori o a uno di loro, è «connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti», che al contrario deve essere «rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione».
Nello specifico, l’ordinanza 18222/2019 rileva ancora come «se è pur vero che il decreto impugnato non ha imposto un vero e proprio obbligo alla ricorrente di intraprendere un percorso psicoterapeutico per superare le criticità del suo rapporto madre-figlia, avendo esplicitato che si tratta di un invito giudiziale, è indubbio che una tale situazione integri una forma di condizionamento idonea a incidere sulla libertà di autodeterminazione alla cura della propria salute, garantita dall’articolo 32 della Costituzione».
La questione è quindi stata rinviata alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, affinchè statuisca nel merito, rispettando il principio dell’intangibilità del diritto all’autodeterminazione dei cittadini, che non ammette né dirette prescrizioni dispositive, né condizionamenti di sorta. Dunque, il giudice del contenzioso familiare ha amplissimi poteri di interagire con i servizi prevedendo, laddove si fondino su non contestate valutazione tecniche di esperti, percorsi psicologici di sostegno per i minori coinvolti nella crisi familiare, in quanto così viene tutelato l’interesse del minore. Diversamente, allo stesso giudice è impedito, dai principi di rango costituzionale, di condizionare o comprimere l’autodeterminazione alla propria cura degli adulti.
Cassazione, ordinanza 18222 del 5 luglio 2019