Professione e Mercato

La tutela del marchio delle società sportive

Le società sportive sono, a tutti gli effetti, imprese e sfruttano il proprio nome attraverso sponsorship, cessione di spazi pubblicitari, diritti tv e vendita di prodotti di merchandising

di Luca Ferrari e Jacopo Liguori*


Perché il nome della squadra è importante?

Il nome della squadra è un asset di proprietà intellettuale molto importante.

Le società sportive sono, a tutti gli effetti, imprese e sfruttano il proprio nome attraverso sponsorship, cessione di spazi pubblicitari, diritti tv e vendita di prodotti di merchandising.

L'utilizzo del brand a 360° consente ai club calcistici di aumentare anche il proprio valore d'impresa e di migliorare la loro competitività sulle altre squadre. Il recente report del 2021 di Brand Finance ha confermato il Real Madrid come prima della classe con $1,499M di fatturato. Invariato il gruppo delle prime 10, seppur con qualche scambio di posizione tra i club: Manchester United e Bayern Monaco salgono, mentre il Liverpool scende. Molto significativa la diminuzione del fatturato per 8 delle 10 big, con una variazione percentuale media al ribasso del 7%.

La percezione pubblica del brand è chiaramente frutto di investimenti in marketing rilevanti, tesi a soprattutto a espandere la base dei tifosi o simpatizzanti oltre che a consolidare il collegamento tra club e supporters. Ma, ancor prima, il valore del brand è dato da una attenta pianificazione della strategia di deposito dei propri marchi, e da una altrettanto scrupolosa protezione, attraverso complesse attività di brand protection, spesso su scala mondiale.

Le difficoltà nell'utilizzo di un toponimo come marchio

Per lo meno nella nostra vecchia Europa, la maggior parte delle squadre prendono il nome dalle città nelle quali sono nate e risiedono. I club sportivi sono probabilmente, tra le imprese, quelle che più di ogni altra utilizzano e in qualche modo occupano il nome della loro città. Ne è un esempio la AS Roma, che ha preso il nome della Città Eterna.

Come tutte le imprese che vendono prodotti e servizi, i club devono tuttavia dotarsi di un marchio registrabile e tutelabile, investendo in modo appropriato le proprie risorse, sia nel momento della scelta del marchio da registrare, dei paesi e delle classi di registrazione, sia nella fase di reazione alle contraffazioni (si veda il nostro articolo sulla registrazione e tutela dei marchi degli sportivi ).

Nel caso peculiare di utilizzo di un toponimo come marchio, i club si scontrano con il requisito - essenziale ai fini della registrazione - del carattere distintivo, in Italia imposto dall'art. 13 del codice della proprietà industriale. La norma fornisce un elenco non esaustivo di segni che devono essere considerati a priori privi di capacità distintiva, in quanto meramente descrittivi, e tra questi rientrano i marchi costituiti esclusivamente dalla provenienza geografica.

Tuttavia, la dottrina maggioritaria rifugge un'interpretazione eccessivamente restrittiva, che escluda la registrabilità del marchio contenente esclusivamente un'indicazione geografica, propendendo per una valutazione caso per caso.

Liverpool e Roma: i marchi nelle big cities

Anche la giurisprudenza si è occupata del tema e, in passato, i nostri giudici avevano sostenuto che il marchio delle squadre, quando costituito solo da un semplice nome di una città indicante la provenienza geografica, non potesse essere registrato e tutelato, proprio in quanto mancante di carattere distintivo.

Un simile approccio è stato adottato dall'ufficio per la proprietà intellettuale inglese, che ha recentemente negato all'omonimo e glorioso club la registrazione del marchio "Liverpool". Questa decisione è stata accolta favorevolmente da alcuni tifosi e rivenditori indipendenti di prodotti recanti il nome "Liverpool", ritenendo che l'utilizzo del nome della città non potesse essere di titolarità esclusiva della società sportiva, nonché a maggior ragione da club calcistici minori locali che portano proprio lo stesso nome.

Tuttavia, la decisione ha sollevato un interessante dibattito, se si considera che in passato ad altri club del Regno Unito è stata consentita la registrazione di un marchio costituito proprio dal nome dell'area geografica cui la squadra fa riferimento, in particolare Chelsea e Tottenham. La discriminante su cui sembra basarsi la decisione dell'ufficio inglese è l'importanza dell'area geografica in questione. Infatti, le linee guida dell'ufficio richiedono che per la valutazione siano presi in considerazione diversi criteri, tra cui il livello di conoscenza della posizione geografica e altre caratteristiche del luogo, comprese le sue dimensioni.

Il motivo principale per cui la registrazione del marchio non è stata consentita consisterebbe, quindi, nella "rilevanza geografica" del nome "Liverpool" come città rispetto ad altri luoghi. In sostanza, Liverpool come città sarebbe nota per ben altro che il solo club calcistico.

Di diverso avviso è, invece, la nostra Suprema Corte che ha recentemente stabilito che questi marchi possano essere tutelati, anche se non registrati, in quanto celebri, o comunque notori, e abbiano assunto nel tempo capacità distintiva.
Ecco allora che, nonostante la rilevanza geografica di una città come Roma - non si può certamente dire che sia nota solo o soprattutto per il club calcistico - il marchio ha ricevuto tutela.

La corte sottolinea, però, al di là dei casi di notorietà come quello della Roma, che una denominazione geografica può essere inserita in un marchio e dare luogo ad un marchio "forte". L'importante è che "l'insieme del segno, in concreto, faccia desumere l'avvenuta trasposizione del messaggio dal piano di riferimento del luogo a quello di individualizzazione del prodotto, sicché prevalendo le componenti di originalità e fantasia, l'uso del toponimo non adempia ad una funzione meramente descrittiva". Si pensi, in tal senso, alle squadre che accompagnano il toponimo con ulteriori elementi di differenziazione, quali l'anno di fondazione, i colori o i loghi, in modo da rafforzarne la capacità distintiva.

Non è un caso, infatti, che per tutelare il nome "Liverpool", negato come abbiamo visto per la sola parola, il club abbia scelto segni maggiormente distintivi.


e, per massimizzare le proprie attività di brand protection, abbia offerto ai propri tifosi un canale di comunicazione per segnalare le contraffazioni.

Secondary meaning e notorietà per un marchio più "forte"

Quella della distintività del marchio è una tematica che da sempre viene dibattuta a livello internazionale. Il diritto anglo-americano ha tentato di dare una risposta attraverso il fenomeno del cd. secondary meaning, che riguarda i marchi costituiti da parole all'origine prive di carattere distintivo. In questo senso, un termine inizialmente generico acquista un secondo, più forte, significato (secondary meaning appunto), che viene percepito con valenza distintiva dal pubblico dei fruitori dei prodotti/servizi cui tale termine-marchio è collegato.

Quale terreno più fertile, per l'applicazione del secondary meaning, di quello dei marchi dei club sportivi costituiti da toponimi e, pertanto, in principio deboli? Perché si possa discutere di rafforzamento del marchio devono ricorrere, però, due fattori: il primo oggettivo, consistente nell'utilizzo della parola, da parte dei club, costante e reiterato, seppur detta parola sia descrittiva e priva di carattere distintivo; il secondo, soggettivo, dato dalla percezione nel pubblico di quella parola come un quid individualizzante.

È chiaro, quindi, che il rafforzamento di un marchio (generico/geografico) è strettamente collegato alla notorietà che lo stesso assume. L'utilizzo costante del termine che lo costituisce va di pari passo al mutamento della percezione del pubblico al riguardo e, per quanto quest'ultima possa difficilmente essere provata secondo criteri prestabiliti, la storicità del club e la forte diffusione dell'interesse per il calcio è sicuramente di aiuto ai club – anche minori - che puntano ad aumentare la protezione del proprio marchio.

Inter Miami e le battaglie legali per il marchio contro FC Internazionale

Non si può chiudere il tema dei marchi delle società sportive senza citare la querelle ancora in corso tra FC Internazionale e la sua omonima di Miami - si è in attesa di una nuova decisione prevista per l'inizio del 2022.

Nel 2014, infatti, il club neroazzurro aveva fatto domanda all'ufficio marchi statunitense per registrare il nome "Inter" come marchio esclusivo negli Stati Uniti, presentandolo quale sinonimo del club italiano. Tuttavia, a marzo del 2019, Inter Miami, tramite la Major League Soccer, aveva presentato una mozione di opposizione a tale richiesta, soprattutto sulla base del fatto che il nome consistesse nell'abbreviazione di "Internazionale" e fosse un termine generico comunemente utilizzato da un certo numero di club in tutto il mondo.

Ciò nonostante, la tesi del club americano che ritiene vi sia l'utilizzo di un termine "meramente descrittivo" e il potenziale rischio di confusione non hanno per ora indotto l'ufficio statunitense ad accogliere in toto le istanze della MLS.

Indubbiamente la notorietà a livello mondiale del club italiano ha pesato e peserà sulle decisioni dell'ufficio marchi negli Stati Uniti. La vicenda insegna, a chi pianifica e investe nello sviluppo e protezione del marchio di un club sportivo, che la mancanza di capacità distintiva può costare cara: potrebbe costringere Inter Miami ad un rebranding da milioni di dollari, problematico per l'immagine e devastante economicamente.

Al fine di evitare rischi di questo calibro, è necessaria, specie per club che scontano minor storia e notorietà, una maggiore caratterizzazione del proprio nome e marchio. Seguendo l'indirizzo della Suprema Corte italiana, è consigliabile puntare su originalità e fantasia, combinando il nome della città con ulteriori elementi in modo da creare un marchio dotato di propria capacità distintiva.

*a cura Luca Ferrari (Head of Sports) e Jacopo Liguori (Special Counsel Intellectual Property) di Withers

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