Non è diffamazione parlare di Sicilia mafiosa nei libri di testo
Non è diffamazione parlare di Sicilia mafiosa nei libri di testo, né tantomeno usare “espressioni e giudizi generali perentoriamente negativi sulla realtà socio-economica di un'intera regione”. Lo ha stabilito la Cassazione respingendo il ricorso del governatore della Sicilia contro la casa editrice Principato e gli autori del libro “Geo Italia, le regioni”, destinato agli studenti delle scuole medie inferiori, in cui compaiono giudizi molto negativi sulla realtà dell'isola. Così, mentre è bufera sulla Rai per la discussa intervista al figlio del boss mafioso Totò Riina, mandata in onda da Porta a Porta, i giudici supremi della terza sezione civile hanno emesso una sentenza (la 6785/2016) destinata a fare giurisprudenza nel mondo della scuola. La Cassazione ha affermato che citare la presenza del potere mafioso in Sicilia e l'esistenza di un intreccio corruttivo tra forze politiche e criminalità rientra nella piena libertà di insegnamento, garantita dall'articolo 33 della Costituzione. A patto, però, che i giudizi espressi nel libro di testo siano “articolati nel rispetto della correttezza formale e con sufficiente richiamo ai contesti storici e di cronaca”. Dagli autori, poi, non si esige nessuna autolimitazione purché giudizi e toni siano “oggettivamente corretti e rispondano almeno in linea di massima a fatti storicamente veri”.
La casa editrice Principato e gli autori del libro “incriminato”, Alida Ines Ardemagni, Francesco Mambretti e Giovanni Silvera, erano stati condannati in primo grado dal tribunale di Milano a risarcire alla Regione Sicilia 50mila euro per i giudizi negativi espressi nel libro di testo che la presidenza della regione considerava assolutamente diffamatori. La sentenza di primo grado, inoltre, vietava alla casa editrice di ristampare il libro con i passi messi sotto accusa. La Corte d'Appello nel 2012, invece, aveva ritenuto i giudizi espressi nel libro sia leciti che obiettivi, ribaltando la sentenza di primo grado. Giudizio confermato ora dalla Cassazione.
Sono quattro i passaggi “incriminati”. Alla pagina 15 del libro di testo, gli autori citano un non meglio precisato sondaggio in cui gli Italiani riterrebbero la Sicilia come una delle regioni da evitare. Più avanti, poi, esprimono giudizi decisamente negativi. “Oggi la Sicilia è una regione autonoma con ampi poteri, che riceve dallo stato più di quello che dà e consuma più di quello che produce (pag. 196)”. E ancora “Il potere mafioso ha stabilito sull'isola un clima di violenza che avvelena i rapporti tra la gente, dissangua ogni attività economica e impedisce di governare per il bene della collettività (pag. 196)”. Alla pagina 201 del testo si citano le periferie, “questi quartieri sono diventati inferni urbani, dove la criminalità non ha freno”, mentre alla pagina 202 si fa riferimento all'economia dell'isola basata sull'assistenza dello stato, dove “la spesa pubblica, però, più che dare un impulso produttivo, ha alimentato un intreccio di corruzione tra forze politiche e criminalità”.
Per i giudici della Suprema corte “l'inserimento di tali espressioni e giudizi in un libro di testo per la scuola media inferiore corrisponde all'esercizio della libertà di insegnamento, a sua volta riconducibile a quella più ampia di manifestazione del pensiero, non solo degli autori del libro….ma anche dei professori o docenti che ritenessero di adottarlo quale strumento di sviluppo del loro programma”.
Corte di cassazione – Sentenza 6785/2016