Nullo l’appello se in primo grado è stata proposta “tardi” la domanda di assegno di divorzio
Qualora la domanda di attribuzione di un assegno divorzile sia stata tardivamente proposta in primo grado dalla convenuta e dichiarata – pertanto - inammissibile, deve essere cassata la sentenza del giudice di appello che – in riforma della prima sentenza - abbia attribuito un assegno sulla base delle allegazioni del ricorrente correlate all'eventuale determinazione di un assegno di divorzio, non potendo le stesse essere intese in funzione sostitutiva o esonerativa della necessaria tempestiva domanda della controparte interessata alla contribuzione. Lo ha precisato la corte di Cassazione con la sentenza 23000/14.
Una giurisprudenza contrastante - Prima facie il principio espresso dalla pronunzia in rassegna è di una sconcertante evidenza, alla luce del principio generale di cui all'articolo 99 Cpc secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente. Deve segnalarsi – peraltro – che sulla questione specifica la giurisprudenza della Corte di Cassazione non è affatto pacifica. Mentre, infatti, Cassazione sentenza 7 dicembre 2011, n. 26380, ha affermato – nella stessa ottica della pronunzia ora in rassegna - che nel giudizio di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l'iniziale disponibilità del coniuge a versare l'assegno divorzile all'altro, che non abbia tempestivamente proposto la relativa richiesta, non può considerarsi domanda giudiziale, non essendo questo legittimato a sostituirsi al titolare del diritto alla percezione di detto assegno, con la conseguenza che è illegittimo il relativo riconoscimento giudiziale, non mancano pronunzie in senso diverso.
In particolare Cassazione, sentenza 27 gennaio 2012, n. 1243 ha statuito che va cassata la sentenza che neghi alla moglie l'assegno divorzile per mancanza di tempestiva domanda, ancorché il marito abbia comunque riconosciuto in giudizio di essere tenuto al mantenimento del coniuge. Si precisa, nella parte motiva di tale ultima pronunzia: «La Corte d'appello di Catania ha ingiustificatamente svalutato il contenuto della domanda di cessazione degli effetti civili proposta dal marito nella parte in cui egli stesso riconosceva di dovere un contributo di mantenimento al coniuge, precisato anche nel quantum. Avendo chiesto, l'attore, in sede di edictio actionis, che l'assegno mensile, a suo tempo fissato a suo carico per il mantenimento della moglie e dei figli, venisse ridotto a causa della sopravvenuta indipendenza economica del figlio.Entro i limiti predetti, il riconoscimento del contributo di mantenimento costituiva, quindi, un dato acquisito; e solo la sua riduzione, per la causa petendi allegata, apparteneva al thema decidendum: con la conseguenza che la tardività della domanda riconvenzionale della convenuta - che intendeva ottenere, altresì, una maggiorazione dell'assegno di mantenimento in favore suo e della figlia non poteva travolgere l'altrui riconoscimento del minor credito, a pena di ultrapetizione. La sentenza deve essere quindi cassata in parte qua [con attribuzione di una somma maggiore di quella comunque offerta dall'attore]».
Sempre in argomento, altresì, Cassazione, sentenza 19 maggio 2011, n. 11061, secondo cui il ricorso introduttivo del giudizio volto allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio deve contenere il petitum richiesto al giudice, con la conseguenza che, quando esso contenga unicamente la domanda di riduzione dell'assegno di mantenimento, la successiva richiesta di eliminazione dell'obbligo di corrispondere l'assegno medesimo, formulata per la prima volta nelle conclusioni finali del giudizio di primo grado e senza che la controparte abbia accettato il contraddittorio, soggiace alla sanzione dell'inammissibilità, trattandosi di domanda nuova .
Corte di Cassazione – Sezione I – Sentenza 29 ottobre 2014 n. 23000