L’applicazione dell’IVA alla transazione di controversie giudiziali
Commento a Corte di Cassazione, Sez. TRI Civile, ordinanza 19 dicembre 2024, n. 33296
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento n. 33296 del 19 dicembre 2024 torna sul tema dell’applicabilità dell’IVA agli importi corrisposti a fronte di transazione di controversie giudiziali.
La Corte di Cassazione, prendendo le mosse dalla definizione di transazione di cui all’art. 1965 c.c., esclude l’assoggettabilità ad IVA dell’importo versato qualora tale importo abbia natura risarcitoria. Determinante ai fini della valutazione della Corte era la circostanza per cui la transazione oggetto di causa non avesse comportato la creazione di un rapporto obbligatorio autonomo ma si fosse limitata a definire la corresponsione di un risarcimento a fronte di inadempienze contrattuali pregresse relative al rapporto contrattuale dedotto nella causa transatta.
La sentenza in commento veniva emessa all’esito di un giudizio instaurato da una società contribuente avverso un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione finanziaria recuperava a tassazione la somma di Euro 760.000,00 oltre a sanzioni per l’anno 2007.
In particolare l’amministrazione finanziaria accertava che la società contribuente aveva definito una precedente controversia giudiziale, avente ad oggetto un contratto di compravendita di partecipazioni societarie, con atto transattivo in forza del quale corrispondeva a controparte l’importo complessivo di Euro 3.800.000,00 oltre IVA (al tempo nella misura del 20%). L’amministrazione finanziaria contestava la successiva detrazione dell’IVA posta in essere dalla società contribuente; in particolare l’amministrazione finanziaria riteneva che l’indennizzo versato a fronte della transazione del contenzioso non potesse essere considerato soggetto a IVA.
Sia la Commissione Tributaria Provinciale di Roma sia la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettavano il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento di cui sopra. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) rilevava che con la transazione le parti avevano rinunciato agli atti di causa, evitando ulteriori contenziosi connessi, senza tuttavia intrattenersi sull’esistenza o il valore del danno contrattuale, con la pattuizione di una somma a saldo e stralcio, nonché a fronte della rinuncia, in via transattiva, a qualsiasi altra pretesa presente o futura. La CTR riteneva quindi che la somma pattuita non potesse che essere intesa come risarcimento e non come compenso a titolo di corrispettivo per l’abbandono del contenzioso. Difatti, per come era strutturato l’atto transattivo, il contratto di compravendita delle partecipazioni già oggetto di contenzioso non poteva essere considerato estinto e sostituito con un altro contratto, perché le parti intendevano abrogare solamente alcuni articoli di detto contratto, senza che insorgessero nuove obbligazioni oggettivamente diverse dall’originario rapporto contrattuale.
Secondo la CTR, in conclusione, la natura dell’importo versato dalla società contribuente in esecuzione della transazione andava qualificata come risarcitoria e come tale non assoggettabile a IVA, cosicché il ricorso proposto dalla società contribuente andava rigettato con conferma dell’avviso di accertamento impugnato.
Per quanto qui di interesse, la società contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR contestando, tra l’altro, la qualificazione in termini esclusivamente risarcitori della prestazione di dare una somma di denaro contemplata nel contratto di transazione a fronte di una serie di prestazioni di fare e/o di non fare. Secondo la ricorrente nel caso di specie il pagamento avveniva a fronte della rinuncia a un contenzioso insorto e a tutti quelli potenzialmente connessi e si inseriva all’interno di una transazione complessa e definibile come novativa.
In particolare, sosteneva la ricorrente che nell’ipotesi in cui il pagamento, pur trovando la propria ragione in termini storici e casuali in una controversia, sia previsto a fronte della precisa assunzione di obbligo di fare (i.e. la rinuncia definitiva a tutte le domande di cui al giudizio), tale attività sarebbe riconducibile all’art. 3, primo comma, D.P.R. n. 633 del 1972 e quindi soggetta a IVA. Tale norma, rientrerebbe tra quelle a fattispecie aperta, sancendo la tassazione dei corrispettivi derivanti non solo da una serie di contratti tipici nella stessa espressamente richiamati, ma anche di quelli che si correlano ad altri contratti e ad altre tipologie di operazioni. Riteneva la ricorrente che nel caso di specie la prestazione di dare corrispondente al pagamento della somma di denaro prevista in transazione si ponesse in stretta correlazione al non fare costituito dalla rinuncia alla lite ed astensione da ogni altra pretesa.
La Corte di Cassazione, tuttavia, rigettava il ricorso della società contribuente non condividendo la ricostruzione giuridica proposta dalla stessa. In particolare la Corte nelle motivazioni della sentenza in commento prende le mosse dal contenuto dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, il quale prevede che: “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Per la Corte, il significato del sintagma “obbligo di non fare” deve essere individuato tenendo conto che, trattandosi di un’imposta sul consumo, non è sufficiente la previsione di un corrispettivo, ma occorre considerare la natura dell’impegno assunto e che “per rientrare nel sistema comune dell’IVA, detto impegno deve implicare un consumo”.
La prestazione di non fare, quindi, deve integrare un “consumo nell’accezione del sistema comunitario dell’IVA”. Nel caso in esame la prestazione di non fare deriva dalla stipulazione di una di transazione. A tal riguardo l’art. 1965, primo comma, c.c. statuisce che: “la transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.
Ciò posto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamato anche dalla sentenza in commento, l’oggetto della transazione non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni, che possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un quid medium tra le prospettazioni iniziali (Cass., 01/04/2010, n. 7999). Nella misura in cui le prestazioni di fare, non fare o permettere riguardino reciproche concessioni in ordine alle contrapposte pretese, non emerge una prestazione rilevante ai sensi dell’art. 3 D.P.R. n. 633 del 1973: si tratta, infatti, di prestazioni che non sono correlate a un consumo nell’accezione del sistema comunitario dell’IVA, ma costituiscono piuttosto l’esito di un atto dispositivo attraverso il quale vengono regolate le pretese contrapposte sulla res litigiosa.
Tale valutazione, evidenzia la Corte, non trova applicazione nelle ipotesi di c.d. transazioni miste che prevedono la costituzione ex novo di eventuali rapporti o prestazioni in sede transattiva. In tal caso le parti creano, modificano o estinguono rapporti diversi da quello che ha dato origine alla lite e può, quindi, teoricamente venire in rilievo uno dei requisiti oggettivi dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi degli artt. 2 e 3 D.P.R. n. 633 del 1972.
Nel caso di transazione novativa, è necessaria, tuttavia, una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, tale da rendere le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti oggettivamente diverse da quelle preesistenti. Tale verifica, secondo la Corte, spetta al giudice di merito il quale deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni (Cass., 06/10/2020, n. 21371).
Dopo aver dato atto dell’interessante contenuto della sentenza in commento, di seguito si prova a formulare un possibile riepilogo schematico delle diverse modalità di imposizione fiscale degli importi previsti nell’ambito di transazioni giudiziali. Appare tuttavia doveroso segnalare, sin d’ora, che ogni valutazione sul punto deve basarsi su un’analisi specifica delle clausole contrattuali della singola transazione nel caso concreto, non essendo possibile una classificazione rigida delle diverse fattispecie, come ribadito dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza in commento.
- Prima ipotesi: Se in sede di transazione viene specificato che il pagamento è espressamente finalizzato in via esclusiva ad ottenere la rinuncia all’avvio o alla prosecuzione del contenzioso, potrebbe emergere una prestazione di servizi economicamente rilevante e quindi soggetta a IVA. In particolare, se la somma corrisposta è direttamente legata all’impegno della parte a non proseguire un’azione legale, si potrebbe configurare un obbligo di non fare economicamente rilevante, tale da rientrare nel campo di applicazione dell’IVA, in linea con gli orientamenti della prassi amministrativa.
- Seconda ipotesi: Ove le somme dovute in forza dell’accordo transattivo vengano corrisposte a titolo di risarcimento danni, per un inadempimento al contratto oggetto di controversia, e tali somme siano quantificate secondo parametri prefissati dal contratto medesimo o dalla legge, tale operazione è esclusa dall’assoggettamento a IVA; tale esclusione è confermata in particolare quando il pagamento della somma non sia causalmente collegato ad alcuna prestazione di servizi o cessione di beni.
- Terza ipotesi: Se l’accordo prevede il versamento di una somma a titolo di risarcimento globale per i danni subiti, ma include anche l’impegno della controparte a rinunciare a ogni pretesa attuale o futura, la questione si complica. In tal caso, come precisato dall’Agenzia delle Entrate con risposta n. 212/2022 ad un interpello sul punto, la funzione economica di quanto pagato a titolo di risarcimento danni è cosa diversa dal corrispettivo riconosciuto per la rinuncia al contenzioso. Conseguentemente, qualora il testo della transazione individui specificamente l’importo stabilito dalle parti per l’abbandono della controversia giudiziaria, separatamente e in modo distinto dall’importo che le parti hanno stabilito a titolo di risarcimento del danno, è possibile determinare in modo chiaro il diverso trattamento fiscale da applicare ai due importi. Pertanto, il corrispettivo per l’abbandono della controversia costituirà somma rilevante ai fini IVA mentre l’importo definito a titolo di risarcimento del danno sarà escluso da campo di applicazione IVA come affermato dalla stessa AdE nella risposta all’interpello n. 588/2022.
- Quarta ipotesi: Altra ipotesi si verifica qualora le parti raggiungono un accordo transattivo che preveda una revisione del corrispettivo inizialmente pattuito per una determinata prestazione, senza tuttavia riconoscere in capo ad una delle parti alcuna responsabilità risarcitoria. L’accordo nel caso, di specie, si limiterà a regolare prestazioni già eseguite (integralmente o parzialmente), sebbene non in maniera soddisfacente, da una delle parti del contratto originario, stabilendo una riduzione del corrispettivo originariamente pattuito. Tali ipotesi rientrano tra le c.d. transazioni semplici, ove le reciproche concessioni non sono in una posizione di corrispettività intesa quale interdipendenza giuridica tra due prestazioni bensì sono “vicendevoli” nel senso che le parti abbandonano reciprocamente, in tutto o in parte, le proprie pretese originarie. In tali casi il trattamento fiscale deve essere stabilito con riferimento al rapporto giuridico che ha dato origine alla transazione, atteso che quest’ultima non ha fatto insorgere alcuna nuova obbligazione da assoggettare autonomamente a tassazione.
Nel caso in cui il rapporto obbligatorio fosse assoggettato a Imposta di registro, l’importo versato in base all’accordo transattivo dovrebbe essere assoggettato esso stesso ad Imposta di registro in misura fissa. Infatti esso non è suscettibile di autonoma imposizione, in quanto privo di contenuto novativo rispetto all’atto originario di regolazione del rapporto già tassato, anche se di natura giurisdizionale. Se, invece, il rapporto originario era assoggettato ad IVA, anche l’importo versato in base all’accordo transattivo lo sarà. In tal caso è necessario riferirsi all’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, verificando l’esistenza dei presupposti per l’emissione da parte del soggetto cedente/prestatore di una nota di variazione.
- Quinta ipotesi: Se l’accordo transattivo determina la creazione di un nuovo rapporto contrattuale che sostituisce integralmente quello precedente, si entra nel campo delle cosiddette transazioni novative.
Quando l’accordo transattivo non si limita a regolamentare un rapporto preesistente ma determina la sua estinzione e la nascita di un nuovo rapporto contrattuale, sarà necessario valutare la natura sinallagmatica delle prestazioni per stabilire se l’operazione rientri tra quelle imponibili ai fini IVA. In questo scenario, se le parti stabiliscono obblighi reciproci del tutto nuovi rispetto alla controversia originaria, il pagamento effettuato potrebbe essere considerato come un corrispettivo per nuove prestazioni di servizi, risultando pertanto soggetto a IVA.
In conclusione, la qualificazione fiscale delle somme corrisposte nell’ambito di una transazione dipende dalla specificità delle clausole transattive e dalla natura degli obblighi che le parti assumono, con la necessità di valutazioni caso per caso in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa.
Una chiara definizione delle clausole transattive diventa quindi essenziale per i contribuenti e gli operatori fiscali al fine di evitare contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria e garantire un’applicazione corretta della normativa tributaria. A seconda della tipologia di accordo transattivo adottato è importante valutare con attenzione la documentazione contrattuale e le modalità di pagamento, al fine di individuare con precisione la natura delle somme corrisposte e il relativo trattamento fiscale che, alle volte, può incidere in modo determinante sul valore economico della singola transazione e conseguentemente sulla definizione della stessa.
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*Avv. Francesco Pozziani, Casa & Associati - Studio legale