Civile

Appalti, S.U.: principio di equivalenza applicabile anche alla “fornitura di punta”

Per la Cassazione, ordinanza n. 26469 depositata oggi, l’interpretazione estensiva della lex specialis rientra nell’ordinario esercizio della giurisdizione, non vi è sconfinamento di poteri del GA

di Francesco Machina Grifeo

Nessuno sconfinamento di poteri da parte del giudice amministrativo che rifacendosi a pregressi arresti giurisprudenziali sul “criterio di equivalenza”, in un appalto, abbia ritenuto che la “fornitura di punta” si differenziasse dalla “fornitura analoga” solo per l’importo richiesto, che doveva essere stato pagato con buon esito. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite civili, ordinanza n. 26469 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso di una Srl nei confronti del comune di Palermo e di un’altra società, per la riforma della sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana.

Il contenzioso riguardava l’aggiudicazione di una procedura di gara per la fornitura di 50 isole ecologiche informatizzate e 400 cassonetti con sistema hardware e software di gestione, nell’ambito del progetto Palermo Green 2030, da parte di una società concorrente, priva - a detta del ricorrente - dei requisiti previsti dal bando. La Stazione appaltante, oltre ai requisiti generali di idoneità, aveva previsto l’obbligo di elencare le eventuali forniture analoghe già eseguite e il requisito della c.d. fornitura di punta, in assenza del quale non sarebbe stato possibile essere ammessi.

Il Tar accoglieva il ricorso affermando che l’offerta della società aggiudicataria non poteva definirsi “analoga” nei termini del disciplinare di gara, in quanto relativa alla “sola trasformazione dell’organico e non”, in difformità a quanto richiesto dal capitolato speciale d’appalto. Il Cga accoglieva l’appello relativo al principio di equivalenza, “traslato” sulla questione concernente il c.d. “requisito di punta”. Secondo il collegio il requisito richiesto era “l’esperienza in servizi analoghi e non identici”; inoltre andava valorizzato al massimo il principio del favor partecipationis per cui il criterio dell’equivalenza non poteva subire una lettura limitativa o formalistica. Al contrario, andava valutato in relazione alla funzionalità richieste dalla PA, “sicché il prodotto poteva ritenersi equivalente se - pur essendo carente di taluno e/o taluni requisiti indicati nella lex specialis - nondimeno avesse potuto soddisfare alla stessa maniera l’interesse perseguito dalla Stazione appaltante”.

Il ricorrente ha lamentato lo sconfinamento del giudice amministrativo sia per l’indebita ingerenza nel merito della discrezionalità amministrativa, essendosi sostituito all’amministrazione, sia per aver svolto un’attività “paranormativa” di creazione di una norma inesistente con invasione della sfera riservata al legislatore.

Entrambi i rilievi sono stati bocciati dalla Cassazione. La sentenza impugnata, spiegano le S.U., ha ritenuto che la fornitura di punta richiesta dalla lex specialis non dovesse essere identica a quella oggetto dell’appalto bensì analoga “eseguita con buon esito e formalmente accettata e pagata dalla committenza e di importo, al netto di IVA, non inferiore al 30% dell’importo a base di gara”. Ragion per cui “non si è realizzato alcuno sconfinamento nella sfera del merito o alcuna invasione nella sfera di attribuzioni riservata alla P.A, configurabile solo quando l’indagine svolta ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato”.

Inammissibile anche la tesi dello sforamento ai danni del potere legislativo. Il giudice amministrativo “non ha affatto introdotto nell’ordinamento norme che prima non vi erano … ma, muovendo dal dato normativo esistente e da un orientamento interpretativo puntualmente richiamato ed esaminato, ha proceduto ad una normale operazione di ermeneutica normativa: tale essendo quella mediante la quale il giudicante estrae la voluntas legis, oltre che dal dato letterale delle singole disposizioni, anche dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela”.

Lo sconfinamento, prosegue la decisione, si configura quando il giudice speciale applichi una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, non già in relazione all’attività di interpretazione - sia pure estensiva o analogica - di una disposizione di legge, posto che eventuali errori ermeneutici, anche se, sempre in astratta ipotesi, comportanti uno stravolgimento radicale del senso della norma, non investono la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio.

L’interpretazione delle norme di diritto, infatti, costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione. Pertanto, non si è davanti a una violazione dei limiti esterni della giurisdizione tutte le volte in cui il giudice speciale od ordinario individui una regula iuris facendo uso dei poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione anche analogica del quadro delle norme.

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