Professione e Mercato

Cassa Forense, in caso di incompatibilità rimborsabili solo i contributi soggettivi

Per la Corte di cassazione, ordinanza n. 28979/2025, sono esclusi i contributi integrativi per la loro funzione solidaristica

di Francesco Machina Grifeo

“In caso di cancellazione del professionista dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per accertata incompatibilità, l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, per i quali non è previsto il diritto alla restituzione, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, ordinanza n. 28979/2025, con la quale ha accolto il ricorso dell’istituto di previdenza affermando un principio di diritto.

Il Tribunale di Milano, invece, aveva condannato la Cassa a pagare oltre 30mila euro al legale, a titolo di rimborso della contribuzione integrativa versata nel periodo 2001-2004, durante il quale egli era stato cancellato per incompatibilità con l’esercizio della professione. E la Corte d’appello ha confermato il verdetto. Contro questa decisione, l’istituto ha proposto ricorso affermando che era errato nel ritenere ripetibili, oltre ai contributi soggettivi e di maternità anche quelli integrativi. Questo ultimi sarebbero stati dovuti per il fatto stesso dell’iscrizione all’Albo, presupposto che non sarebbe venuto meno durante il periodo dell’accertata incompatibilità. Diverso discorso avrebbe dovuto farsi quanto ai contributi soggettivi e di maternità che, invece, erano dovuti in ragione dell’iscrizione alla Cassa e che, infatti, erano stati resi.

Per la Suprema corte il ricorso è fondato. Il contributo integrativo, spiega, è disciplinato dall’art. 11 della legge n. 576 del 1980. L’obbligo di versamento incombe su tutti gli iscritti agli Albi di avvocato e di procuratore nonché sui praticanti iscritti alla Cassa, che devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla Cassa l’ammontare, indipendentemente dall’effettivo pagamento da parte del debitore. L’obbligo del versamento è, dunque, strettamente legato alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo professionale, tanto che il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente.

L’art. 2, comma 3, della legge n. 319 del 1975 dispone che l’attività professionale svolta in una delle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, «ancorché l’incompatibilità non sia stata accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente, preclude sia l’iscrizione alla Cassa sia la considerazione, ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense, del periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta», ma non revoca in dubbio che l’attività professionale sia stata legittimamente esercitata in virtù dell’iscrizione all’Albo. Ne discende che il contributo integrativo non viene “indebitamente percepito” dalla Cassa nel periodo di iscrizione, ma è da questa legittimamente riscosso, sicché non trova applicazione l’art. 2033 c.c. che regola, in via generale, la ripetizione dell’indebito.

La soluzione, prosegue la Corte, è confortata dall’art. 22 della legge n. 576, che prevede espressamente, al comma 1, per coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza avere maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, solamente «il diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’art. 10, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione», ma non dei contributi integrativi di cui all’art. 11. E dall’articolo 22 della legge che, al comma 4, prevede il versamento della misura minima dei contributi integrativi anche da parte di quei soggetti (membri del Parlamento, dei consigli regionali, della Corte Costituzionale, del Csm e presidenti delle province e sindaci dei comuni capoluoghi di provincia) che pure sono esonerati dal requisito della continuità dell’esercizio professionale durante il periodo di carica.

Il carattere solidaristico della previdenza forense, del resto, conclude la Corte, non esaurisce i suoi effetti durante il rapporto di iscrizione alla Cassa, e la cessazione del rapporto non fa venire meno retroattivamente il vincolo di solidarietà. E allora, la restituzione di un contributo pagato al solo fine di solidarietà “ne snaturerebbe il contenuto e, impedendo l’attuazione del principio solidaristico costituzionalmente garantito (art. 2 della Costituzione), sarebbe pure contrario ai principi costituzionali, poiché il fine solidaristico che caratterizza la previdenza forense non viene meno per effetto della cancellazione dell’iscritto”.

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