“Cicciona, fai schifo!” alla figlia undicenne, padre condannato per maltrattamenti
La Cassazione ha definitivamente respinto il ricorso del genitore condannato ex articolo 572 Cp
Scatta il reato di maltrattamenti in famiglia per il genitore che reiteratamente manifesta il proprio disprezzo per l’aspetto fisico della figlia. La Corte di cassazione, con la sentenza 15 settembre 2025 n. 30780, ha infatti definitivamente respinto il ricorso di un padre contro la decisione della Corte di appello di Venezia che lo aveva condannato per il reato previsto dall’articolo 572 del Cp.
Nel periodo che va da gennaio a luglio del 2020, l’uomo, con “reiterata frequenza”, si era rivolto alla figlia, all’epoca undicenne, con frasi altamente denigratorie. “Cicciona, fai schifo, susciti repulsione in me e in chi ti guarda”, le aveva detto più volte, “ferendone – si legge nella decisione - la personalità e provocandone un regime di vita svilente”, anche in considerazione della “particolare vulnerabilità” per via dell’età.
Le condotte altamente offensive si erano ripetute fino all’episodio del 28 luglio 2020 in cui sempre per ragioni legate alla “igiene alimentare”, il padre aggredì la ragazzina “anche fisicamente con percosse”, assorbite nel reato contestato.
La VI Sezione penale, nel confermare la decisione dei giudici di merito, ha chiarito che integrano il reato di maltrattamenti, “se comprovate in termini di abitualità”, le condotte di reiterata denigrazione messe in atto da un padre nei confronti della figlia adolescente “tali da arrecarle un clima di vita svilente e umiliante perché riguardanti un tema, l’aspetto esteriore di un soggetto in piena pubertà, rispetto al quale la fragile sensibilità del soggetto passivo funge da chiave di lettura inequivoca dell’intensità delle sofferenze patite dalla persona offesa allorquando, come nella specie, le frasi offensive, oltre che gratuite, hanno contenuti di estrema gravità rispetto al fisiologico percorso di crescita della minore, perché manifestazione di un evidente disprezzo, ancor più sentito in ragione della provenienza paterna delle stesse”.
Mentre, prosegue la decisione, la dedotta “modestia dell’arco temporale coperto dalla contestazione” e l’assenza di una continuativa convivenza con la figlia da parte del padre che si trovava in Svezia durante il periodo del Covid, “sono stati correttamente ritenuti recessivi rispetto alla valenza del vincolo familiare e agli incontroversi e continuativi momenti di contatto telefonico”.
I giudici del merito, continua la Cassazione, nel riscontrare l’intensità e l’incidenza delle condotte vessatorie, hanno infatti “del tutto correttamente attribuito maggior peso, al legame familiare”, “nonché alla delicatezza del tema messo in gioco dagli atteggiamenti denigratori del ricorrente e all’ontologico rilievo che assumono i giudizi paterni, se rivolti, come nella specie, a una figlia che si trovava, all’epoca, al centro della propria evoluzione formativa”.