Danni al convivente: da provare vincolo stabile e sostegno economico
I criteri per riconoscere i risarcimenti per la morte del partner «di fatto». Gli elementi presuntivi devono essere valutati in modo complessivo
Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per il decesso del partner causato da un fatto illecito spetta a tutte le coppie, unite in matrimonio o con unione civile o da legami di fatto, e segue un criterio valutativo omogeneo, valido per tutte i conviventi, che consiste nella verifica della sussistenza, in vita, di uno stabile vincolo affettivo e materiale, e della pregressa, vicendevole, assistenza morale e materiale. Tali condizioni possono essere vagliate a partire da elementi presuntivi (come la coabitazione, l’esistenza di un conto comune, il contributo economico alle spese quotidiane), che vanno considerati in modo complessivo e unitario. È quanto emerge dalla giurisprudenza della Cassazione, da ultimo precisata dall’ordinanza 8801 del 28 marzo 2023.
La convivenza
Per la Suprema corte, il diritto al risarcimento del danno per il decesso dovuto a fatto illecito va riconosciuto anche al convivente more uxorio, a patto però che la relazione sia caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale. Si tratta sia del danno non patrimoniale, sia di quello patrimoniale, che presuppone l’esistenza di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato (Cassazione, sentenza 23725/2008).
Nel caso esaminato dall’ordinanza 8801/2023, la Corte d’appello aveva ritenuto che la scelta di abitare insieme, per quanto compatibile con la volontà di contribuire economicamente alle spese del quotidiano, non bastasse a rivelare la stabilità nel tempo dell’unione, né l’intenzione del defunto di mettere in comune le proprie risorse economiche pro futuro, quale apporto continuativo al nuovo nucleo familiare. Inoltre, aveva precisato la Corte d’appello, la durata (quinquennale) della convivenza, con spostamento della residenza e del domicilio fiscale, e la delega a favore della convivente a operare sul conto corrente del deceduto, per quanto elementi significativi, non consentivano di dedurre l’esistenza di una comunanza di vita, tra il defunto e la compagna, talmente forte e stabilizzata da giustificare il prevedibile e stabile contributo economico del primo a vantaggio della seconda, non solo per la stretta durata della convivenza, ma per tutta la vita.
Tuttavia, il ragionamento della Corte d’appello viene bocciato dalla Cassazione, che, per qualificare la convivenza di fatto, riprende la definizione contenuta nella legge 76/2016 (legge “Cirinnà”, articolo 1, comma 36) per cui è la condizione di due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile e che presuppone l’esistenza dell’elemento spirituale, di quello materiale o di stabilità, nonché della reciproca assistenza morale e materiale, fondata non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne derivano, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco.
La valutazione
La Cassazione chiarisce poi che, al fine della corretta valutazione del materiale probatorio occorre, una volta acquisita una pluralità di elementi che costituiscono indici rilevanti in ordine alla configurabilità di una determinata situazione giuridica, questi non possano essere presi in considerazione atomisticamente e singolarmente, ma debbano essere considerati nella loro unitarietà e nella loro interazione reciproca. Il ragionamento presuntivo impone una valutazione complessiva e unitaria di tutti gli elementi, così da vagliarne i requisiti di gravità, precisione e concordanza in uno sguardo d’insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Se, infatti, il singolo elemento, atomisticamente considerato, può non essere idoneo e sufficiente a costituire piena prova dell’esistenza di una vera e propria convivenza di fatto, la concorrenza e concordanza degli indizi può far sì che essi si saldino l’uno con l’altro per formare il quadro complessivo dal quale emerge la prova (Cassazione, ordinanza 9178/2018).