Decadenza dalla responsabilità genitoriale, la Cassazione torna sui presupposti
Nota a Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Ordinanza 15 luglio 2021, n. 20242
Una donna affetta da patologie mentali ha proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza della Corte d'Appello di Bari, con la quale veniva confermato il provvedimento del Tribunale per i Minorenni dichiarativo la sua decadenza dalla responsabilità genitoriale, con collocamento del minore presso una comunità.
Entrambi i motivi d'impugnazione, con i quali la ricorrente ha lamentato la nullità del procedimento di primo grado per mancata nomina di un curatore speciale o di un tutore provvisorio al momento dell'affidamento del piccolo ai Servizi Sociali e la violazione di legge per insussistenza dei presupposti necessari all'adozione della misura ex art. 330 c.c., sono stati ritenuti infondati dalla Cassazione. Da un lato, dagli atti di causa è emersa la nomina di un tutore che aveva seguito l'intero svolgimento del processo, in rappresentanza del minore, sino alla decisione finale; dall'altro, la ricorrente ha solamente suggerito una diversa interpretazione dei fatti, chiedendo un riesame della vicenda nel merito, preclusa in sede di legittimità.
Il caso deciso dai giudici della Prima Sezione della Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 15 luglio 2021 n. 20246 , consente di riflettere sulla nuova posizione del minore nell'ambito dei procedimenti che lo riguardano e di analizzare attentamente il particolare e delicatissimo istituto della decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Iniziando dalla prima questione, lo stesso Collegio di legittimità precisa e ribadisce che i giudizi de potestate sono connotati da un forte ed ineliminabile conflitto di interessi tra i legali rappresentanti (i genitori) ed il rappresentato (il minore). Si tratta di procedimenti che incidono profondamente nella sfera relazionale della famiglia e che concretizzano una situazione "d'urgenza" che rende indispensabile la nomina, con decreto del giudice della causa pendente, di un curatore speciale, ai sensi dell'art. 78 c.p.c., che subentri temporaneamente nell'esercizio dei poteri di rappresentanza e di assistenza, fino al venir meno delle ragioni necessità.
È chiaro che nei procedimenti relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale, il conflitto di interessi tra genitori e minori, comportante la nomina di questa particolare figura, deve essere valutato in concreto dal giudice, non potendosi considerare tale una mera conflittualità interna della coppia, ma l'incapacità dei genitori – anche momentanea – di prendersi cura del bambino, il cui benessere psico-fisico deve essere sempre ritenuto prevalente.
In questa tipologia di procedimenti, il curatore speciale o il tutore provvisorio assume la veste di litisconsorte necessario, la cui mancanza determina la nullità del procedimento, con relativa possibilità di avvalersi, in sede di gravame, della regola ex art. 354 c.p.c. della rimessione al giudice di prime cure affinché provveda all'integrazione del contraddittorio.
Tale principio, evidentemente inapplicabile nel caso di specie, mette in rilievo la tendenza puerocentrica del sistema giudiziario di settore, per cui il minore non viene più considerato dal diritto come "oggetto di tutela", ma come "soggetto titolare di diritti".
Questa nuova visione del minore trova le proprie basi già nella "Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza" , approvata nel 1989 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ratificata dall'Italia con Legge 176/1991. Dopo aver disposto l'obbligo per gli Stati firmatari di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali del minore, l'articolo 3 di detta Convenzione stabilisce che "in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente". È in questi termini che fa il suo ingresso sulla scena giuridica il principio del prevalente interesse (coincidente con il benessere) del minore.
Venendo ora alla seconda questione, riguardante il provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale, assunto, secondo la tesi ricorrente, in assenza dei presupposti richiesti, tenendo esclusivamente conto del suo stato di salute. Posto che la Corte d'Appello di Bari, in sede di reclamo, aveva adeguatamente motivato la decisione impugnata, la Cassazione ha ritenuto comunque opportuno ribadire l'inammissibilità di una richiesta di rivalutazione nel merito della vicenda in sede di legittimità.
Com'è noto, l'articolo 30 della Costituzione stabilisce che padre e madre devono provvedere al mantenimento, all'istruzione e all'educazione della prole, anche se nata fuori dal matrimonio. Tali doveri – a quai sono speculari i relativi diritti – sono ribaditi dall'art. 316 c.c. che attribuisce la responsabilità genitoriale (ex potestà) ad entrambi i genitori.
Tralasciando in questa sede le conseguenze penali alle quali può condurre la violazione di tali obblighi – si veda, in proposito, l'art. 570 c.p. - occorre concentrare l'attenzione su quanto previsto dall' art. 330 c.c. .Ai sensi del I co., qualora il genitore violi o trascuri i propri compiti o abusi dei poteri correlati alla sua posizione, arrecando così un grave pregiudizio per il figlio, il giudice può dichiararlo decaduto dall'esercizio della responsabilità genitoriale.
Secondo una tesi giurisprudenziale e parte della dottrina, questa tipologia di provvedimento ha carattere sanzionatorio del comportamento gravemente scorretto del genitore, ma anche natura preventiva, in quanto diretto a salvaguardare l'equilibrato sviluppo psicofisico del minore messo in pericolo dalla condotta lesiva del genitore.
Altra corrente di pensiero, invece, sostiene la natura esclusivamente preventiva di queste misure, escludendone il carattere sanzionatorio. Questa posizione rende del tutto irrilevante l'elemento psicologico del dolo – inteso come consapevolezza di arrecare un danno – in capo al genitore, essendo sufficiente, ai fini della decisione di decadenza, la sola sussistenza di una situazione pericolosa per il minore.
A prescindere dai due punti di vista, dalla norma è possibile desumere i presupposti necessari alla dichiarazione di decadenza. Innanzitutto, è necessario che i soggetti coinvolti siano legati da un rapporto di filiazione. In secondo luogo, devono essere tenuti presenti il comportamento del genitore ed il pregiudizio per il figlio, legati da un nesso di causalità. Quanto al danno al minore, oltre ad essere grave, esso può essere fisico o morale, attuale o anche futuro, ma probabile.
Le motivazioni offerte dalla Prima Sezione della Cassazione, relative alla seconda doglianza della ricorrente, confermano che per quanto il dato letterale della norma faccia pensare che il giudice chiamato a decidere sulla questione della decadenza abbia una certa discrezionalità, in realtà qualora venga riscontrato un effettivo e grave pregiudizio per il minore, l'adozione del provvedimento ablativo costituisce un dovere.
È chiaro che tale conclusione, apparentemente facile e sbrigativa, nasconde complicazioni ulteriori, in quanto, come si è detto sopra, questi provvedimenti recidono profondamente i legami affettivi tra genitori e figli, privando questi ultimi di figure fondamentali per una crescita sana ed equilibrata.
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*A cura dell'Avv. Camilla Insardà, Studio Legale Insardà