Separazione, quando l’accordo (autonomo) non è modificabile in sede di divorzio
Il chiarimento arriva dalla Cassazione con l’ordinanza n. 31486 depositata oggi
Gli accordi patrimoniali tra gli ex coniugi che trovano nella separazione soltanto l’occasione per essere adottati, rimanendo del tutto autonomi, non sono suscettibili di modifica in sede di ricorso ex art. 710 c.p.c. o in sede di divorzio. La modifica (o conferma) infatti può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi (che seguono le regole dell’art. 1372 c.c.). Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 31486 depositata oggi, respingendo il ricorso di un ex marito contro la decisione della Corte di appello che aveva ritenuto non modificabile l’impegno da lui assunto a pagare le rate del mutuo fino alla sua estinzione.
In primo grado, il Tribunale aveva ritenuto il patto integrasse una forma di mantenimento, come tale rientrante nel contenuto necessario dell’accordo separativo modificabile in sede di divorzio. Per il giudice di secondo grado invece l’accollo del pagamento delle residue rate del mutuo della casa coniugale, non poteva essere oggetto di revisione (come invece il pagamento delle utenze o le tasse della abitazione stessa) poiché le parti avevano concordato un termine con la locuzione “sino ad estinzione dello stesso”, cioè del mutuo. Così evidenziando che la “pattuizione non era strettamente correlata agli obblighi di contribuzione correlati al regime di separazione”. Pertanto, la pattuizione andava ricondotta a una volontà delle parti di regolamentare in via definitiva, cioè fino all’estinzione del mutuo cointestato, i relativi obblighi.
In altre parole – per la Corte distrettuale – “l’avere le parti previsto come termine dell’accollo … l’estinzione del mutuo e non già lo status di coniugi separati, portava a ritenere che detto accollo, seppur contenuto nell’accordo separativo, costituiva un patto contrattuale autonomo (aggiunto) rispetto al regime della separazione che ne costituiva solo l’occasione, e che, pertanto, il medesimo non era modificabile in sede di individuazione del regime economico correlato al divorzio”.
La Suprema corte (n. 6444/2024) ricorda che «la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti - ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata. Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c.».
In questo senso si è affermato (n. 6444/2024.) che: «È valida la clausola con la quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, si accordino per vendere in futuro l’abitazione coniugale che sia stata assegnata al coniuge affidatario di figlio minore, in quanto autonoma rispetto alla concordata assegnazione e con essa non incompatibile». E che: «L’accordo, concluso in sede di separazione e poi trasfuso nel divorzio congiunto, con cui i coniugi convengano che, a fronte della cessione di quote societarie dalla moglie al marito, quest’ultimo corrisponda alla predetta ed ai figli, senza soluzione di continuità, un assegno “vita natural durante”, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, non è suscettibile di revisione ex art. 8 della l. n. 898 del 1970, trattandosi non di pattuizione di un assegno divorzile, ma di costituzione di una rendita vitalizia» (.n. 10031/2023).
Per la Prima sezione civile, correttamente la Corte di appello ha affermato che l’intenzione delle parti era quella di “far cessare l’obbligo dell’odierno ricorrente di pagamento delle rate alla scadenza del mutuo indipendentemente dalla cessazione del regime di separazione”. Il motivo di ricorso in Cassazione, prosegue la decisione, non intercetta la reale ratio decidendi “incentrata proprio sulla comune intenzione delle parti desunta dal contenuto dell’accordo - e non solo dal significato letterale quanto all’indicazione della scadenza dell’obbligo - senza alcuna violazione dei principi ermeneutici invocati, e tanto meno del criterio, peraltro sussidiario, che impone di valorizzare la condotta delle parti anche successiva alla conclusione del contratto, che – anche a voler seguire la tesi del ricorrente – nei propri atti difensivi, come detto hanno sostenuto tesi opposte e niente affatto convergenti nel senso preteso” dall’ex marito.







