Penale

Dl Caivano, spaccio: con la recidiva scatta l’aggravante della “non occasionalità”

La Cassazione, sentenza 5842/2025, chiarisce che l’aggravante ricorre nel caso in cui l’agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico

di Francesco Machina Grifeo

Linea dura della Cassazione nella interpretazione del cd. decreto Caivano per chi reitera il reato di spaccio di lieve entità. La Terza Sezione penale, sentenza n. 5842/2025, ha affermato che l’elemento “specializzante” della “non occasionalità”, richiesto per l’integrazione dell’ipotesi circostanziata di cui all’articolo 73, co. 5, secondo periodo, Dpr ottobre 1990, n. 309, ricorre nel caso in cui l’agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico, sicché la circostanza deve ritenersi contestata in fatto ove sia contestata la recidiva specifica.

Confermata dunque la condanna alla pena di due anni e otto mesi di reclusione comminata al ricorrente dalla Corte di appello di Roma per traffico di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale. Nel ricorrere in Cassazione, l’imputato aveva contestato, tra l’altro, il fatto che l’aggravante della non occasionalità che non gli era stata contestata.

La Suprema corte ricorda che l’articolo 73 del Dpr n. 309 del 1990 prevede il reato di “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope”; il comma 5, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce con reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329 “chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità”.

Per effetto delle modifiche apportate dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, di conversione dell’articolo 4, comma 3, Dl 15 settembre 2023, n. 123 (cd. “decreto Caivano”), al comma 5 è stato aggiunto un secondo periodo, a tenore del quale “chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità”.

La Suprema corte spiega che si tratta di una “peculiare ipotesi circostanziale della fattispecie base”, che si differenzia “per l’elemento specializzante della “non occasionalità” della condotta. L’effetto sul terreno sanzionatorio non però è l’aumento del massimo della pena edittale - che coincide con quello comminato dall’ipotesi base -, benì l’innalzamento del minimo, con riferimento sia alla pena detentiva, sia alla pena pecuniaria.

“Quanto, poi, all’elemento specializzante - ossia al fatto che la condotta non deve essere occasionale - deve ritenersi che esso sia integrato allorquando l’agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico”. E ciò argomenta la Corte, si desume, in primo luogo, dal significato letterale della “non occasionalità”: “se è occasionale la condotta che si è verificata una sola volta, per converso non occasionale è la condotta che si è realizzata più di una volta, e, quindi, almeno due” (ipotesi diversa dalla “abitualità”, che ha carattere “più pregnante”, per integrare la quale è necessario che l’agente abbia già commesso, in precedenza, almeno due illeciti).

E allora, tornando al caso di specie, per la Cassazione: se è vero che nell’imputazione non vi è un esplicito riferimento all’articolo, 73, co. 5, secondo periodo, Dpr n. 309 del 1990 – cioè all’ipotesi aggravata dal Dl Caivano (ndr) -, nondimeno deve ritenersi che, in fatto, sia stata contestata la non occasionalità della condotta, agevolmente desumibile dalla espressa contestazione della recidiva specifica infraquinquennale: il che sta evidentemente a significare che l’agente aveva già riportato una condanna definitiva per la medesima violazione e, che, quindi, il fatto, oggetto di contestazione, non è “occasionale”.

La Corte di merito ha così dato peso al “recentissimo” precedente per spaccio (commesso il 20 dicembre 2022) in relazione al quale l’imputato aveva riportato la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità; affermando “l’inefficacia dissuasiva di tale pena, che, lungi dal favorire il reinserimento sociale del condannato, è stata, invece, interpretata da costui come una sorta di impunità, tanto che l’imputato ha commesso un nuovo delitto della stessa specie a brevissima distanza di tempo”.

Riguardo, infine, la resistenza a pubblico ufficiale, la Cassazione afferma che integra l’elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che, per sfuggire all’intervento delle forze dell’ordine, si dia alla fuga, alla guida di un’autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo l’incolumità personale degli altri utenti della strada (n. 41408), tra cui il personale delle forze dell’ordine. Nel caso affrontato, l’imputato, alla guida di un ciclomotore, “per sottrarsi al controllo, tentando di passare in un varco tra il veicolo dei militari e un’autovettura in sosta, ha impattato contro lo sportello dell’auto di servizio: condotta evidentemente pericolosa per l’incolumità fisica degli occupanti”.

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