L’offesa dell’avvocato nell’esercizio della difesa pure aggravata da odio religioso non è punibile
La causa di non punibilità opera anche se le espressioni offensive non sono strettamente legate all’oggetto causa di lite, ma resta il diritto della parte offesa al risarcimento del danno in sede civile
Le espressioni offensive utilizzate dal difensore in sede di giudizio sono coperte dalla causa di non punibilità di cui all’articolo 598 del Codice penale se utilizzate nell’esercizio del diritto di difesa anche se non stringentemente legate all’oggetto della lite.
Con la sentenza n. 28143/2025 la Cassazione penale ha confermato l’assoluzione dell’avvocato che in due cause civili aveva affermato in danno della controparte e della congrezione cattolica dei testimoni di Geova che nell’ambito di tali comunità religiose vengono plagiate le persone attraverso il lavaggio del cervello. Ciò aveva determinato all’azione in sede penale sia la controparte dell’avvocato accusato di diffamazione e calunnia con l’aggravante di aver agito con odio religioso sia la Cctg anche se non era parte del giudizio in cui erano state pronunciate le frasi offensive.
Afferma perciò la Cassazione nel rigettare il ricorso che malgrado il carattere diffamatorio e offensivo l’avvocato non fosse penalmente punibile, ma al contrario civilmente responsabile. Le frasi incriminate contenute nelle memorie difensive redatte dall’imputato affermavano che i testimoni di Geova praticano il lavaggio del cervello ai propri adepti e li spogliano dei loro averi. Il caso affrontato dai giudici di legittimità emergeva nell’ambito di due cause civili di separazione di divisione di un immobile cointestato agli ex coniugi. E il difensore del marto aveva attaccato la donna controparte in giudizio anche per la sua appartenenza a tale comunità religiosa che definiva setta e orientata al plagio dei fedeli.
In applicazione dell’esimente prevista dall’articolo 598 del Cp per il delitto di diffamazione, anche aggravata dal discorso di odio religioso, il legale veniva, infatti, assolto, anche se i giudici di merito di primo e secondo grado nel mancato accoglimento della posizione delle parti civili avevano confermato la valenza lesiva delle espressioni usate dall’imputato negli atti processuali. Era stato ritenuto però che riguardassero in modo diretto e immediato l’oggetto della controversia facendo così scattare la causa di non punibilità dell’articolo 598 del Codice penale. Esimente ritenuta operativa anche per le offese agite contro la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova che neanche era parte nel processo in cui erano state espresse.
Sussisteva quindi l’offesa illecita compresa l’aggravante dell’aver agito per odio religioso con intento diffamatorio e calunniatorio, ma l’attinenza all’esercizio del diritto di difesa non lascia altra strada alternativa all’azione giudiziale in sede civile per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale.
Conclude, dunque, la Cassazione penale - dando ragione ai giudici di merito - secondo cui a fronte di due pronunce assolutorie l’azione civile non può essere agita in sede penale. Perciò la condanna a risarcire il danno se non stabilita direttamente nell’ambito del giudizio civile dove l’offesa illecita è stata agita non può essere pronunciata dal giudice che ha prosciolto l’imputato in sede penale.