Civile

“Dl Cutro”, resta vietata l’espulsione se viola la “vita privata e familiare”

La Cassazione, ordinanza n. 29593 depositata oggi, ha chiarito che la rivisitazione della “protezione complementare” non cancella la tutela dei diritti garantiti dalla Cedu

di Francesco Machina Grifeo

Il “Dl Cutro”, approvato nel marzo 2023 a ridosso dell’omonima strage di migranti in mare, non impedisce di accordare allo straniero irregolare la cd “protezione complementare” in caso di un effettivo radicamento sul territorio tale da far ritenere che un uso allontanamento possa integrare una violazione del suo diritto alla vita familiare o privata. Lo ha stabilito la Prima sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 29593 depositata oggi, affermando un importante principio di diritto al termine di una motivazione lunga 43 pagine.

La questione era stata sollevata, in via pregiudiziale, dal Tribunale di Venezia chiamato a decidere sul ricorso di un migrante dal Senegal contro la decisione della Commissione territoriale che aveva stabilito la manifesta infondatezza dell’istanza di protezione internazionale. Il quesito posto, in particolare, verte sulla possibilità di continuare ad accordate tutela alla vita privata e familiare dello straniero anche dopo l’entrata in vigore del Dl n. 20 del 2023 (convertito nella legge n. 50 del 2023) e della conseguente abrogazione dell’art. 19, comma 1.1., terzo e quarto periodo, del TU immigrazione (Dlgs n. 286/1998).

Il richiedente lavorava con un contratto a termine ed aveva prodotto le relative buste paga, inoltre frequentava un percorso scolastico presso il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti di Padova. Secondo il Tribunale lagunare sebbene “non vi fossero i requisiti per il riconoscimento delle due forme di protezione internazionale” (status di rifugiato, la protezione sussidiaria), la domanda di “protezione complementare” non appariva “sfornita di possibilità di accoglimento sotto il profilo della tutela del diritto alla vita privata e familiare, emergendo dagli atti il radicamento sociale e lavorativo”. Tuttavia, a seguito del Dl Cutro l’interpretazione del quadro normativo si profilava “irta di difficoltà”. Con la Cassazione che ancora non aveva affrontato la questione e le Sezioni specializzate dei Tribunali di merito schierate su posizioni diverse.

La protezione complementare, spiega la Corte, è un istituto riconducibile a previsioni dell’ordinamento interno che risponde a esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura. Ed ha una configurazione autonoma rispetto alle due forme di protezione maggiore (il rifugio e la protezione sussidiaria), il cui perimetro è affidato “ad una clausola di carattere elastico, priva di fattispecie”. Per la Suprema corte, nel tessuto dell’art. 19 del TU, dopo le modifiche del 2023, pur essendo stato espunto il riferimento esplicito al “rispetto della vita privata e familiare dello straniero”, è ancora presente quello agli “obblighi costituzionali e internazionali dello Stato quale limite ad ogni forma di allontanamento della persona straniera, attraverso il richiamo espresso all’art. 5, comma 6, dello stesso T.U.”. E tra questi ultimi va certamente ricompresa la tutela della vita privata e familiare, espressamente considerata dall’art. 8 della Cedu.

“Anche nel nuovo ambiente normativo, pertanto – si legge nella decisione -, non sono ammessi il respingimento, l’espulsione e l’estradizione in violazione di obblighi costituzionali o internazionali, giacché la protezione della vita privata e familiare è oggetto di un diritto soggettivo ex art. 8 della Cedu, oltre che attuazione di obblighi costituzionali”.

In questo senso, l’abrogazione dei due periodi dell’art. 19 del T.U. volti a specificare i seri motivi inerenti alla vita privata e familiare, riveste, “una portata limitata, perché incide esclusivamente sulla individuazione dei fattori e dei criteri che presiedono al necessario bilanciamento degli interessi in gioco”. Il sistema perde così i tratti di “tipicità normativa” che era venuto ad assumere. E allora l’interprete dovrà “ripercorrere i sentieri tracciati dalla giurisprudenza” e rinvenire, nei criteri elaborati dalla giurisprudenza sovranazionale, le “orme da seguire per riempire di contenuto la formula elastica che egli deve applicare”, così valorizzando “i legami familiari, la durata della presenza della persona sul territorio nazionale, le relazioni sociali intessute, il grado di integrazione lavorativa realizzato”.

Sulla stessa linea, del resto, si è mossa anche la Cassazione penale (n. 43082/2024) laddove ha affermato che l’espulsione dello straniero disposta, come misura alternativa alla detenzione, non può trovare applicazione, neppure dopo l’entrata in vigore del Dl n. 20 del 2023, quando si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Cedu, come interpretato dalla Corte Edu.

Ogni valutazione andrà tuttavia svolta con “rigore”, perché la condizione di vulnerabilità deve essere “effettiva” sebbene, con riguardo alla integrazione sociale, non si richieda “un percorso interamente compiuto” ma “segni univoci, chiari, precisi e concordanti, nella direzione intrapresa”. Per quanto concerne la vita familiare deve emergere un “comunione” “sufficientemente forte da far ritenere che un allontanamento determini una violazione del diritto alla vita familiare o alla vita privata. Sempre tenendo però in conto primario le esigenze dello Stato ed in particolare il mantenimento dell’ordine e dalla sicurezza pubblica.

In definitiva, la rivisitazione, a opera del DL n. 20 del 2023, dell’istituto della protezione complementare “non ha determinato il venir meno della tutela della vita privata e familiare dello straniero che si trova in Italia, tanto più che il tessuto normativo continua a richiedere il rispetto degli obblighi costituzionali e convenzionali”.

Ne deriva che la protezione complementare “può essere accordata in presenza di un radicamento del cittadino straniero sul territorio nazionale sufficientemente forte da far ritenere che un suo allontanamento, che non sia imposto da prevalenti ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, determini una violazione del suo diritto alla vita familiare o alla vita privata”.

Nessun rilievo ostativo, poi, assume il fatto che tale radicamento “sia avvenuto nel tempo necessario ad esaminare le domande del cittadino straniero di accesso alle protezioni maggiori”.

Mentre la tutela della vita privata e familiare “esige una valutazione di proporzionalità e di bilanciamento nel caso concreto, secondo i criteri elaborati dalla Corte Edu e dalla pronuncia a Sezioni Unite 9 settembre 2021, n. 24413, tenendo conto dei legami familiari sviluppati in Italia, della durata della presenza della persona sul territorio nazionale, delle relazioni sociali intessute, del grado di integrazione lavorativa realizzato e del legame con la comunità anche sotto il profilo del necessario rispetto delle sue regole”.

Tali elementi vanno messi in comparazione “con l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese d’origine e con la gravità delle difficoltà che il richiedente potrebbe incontrare nel paese verso il quale dovrebbe fare rientro”.

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