Ecobonus 110% per le imprese: la questione della costituzionalità della normativa
Il D.L. 34/2020 (convertito con modifiche dalla L. 77/2020) indica quali destinatari del beneficio afferente al c.d. superbonus edilizio le persone fisiche non nell'esercizio di imprese, arti o professioni, i condomini, gli Istituti Autonomi Case Popolari e le cooperative a proprietà indivisa, di talché esso resta escluso per i lavoratori autonomi e comunque per i titolari di partita IVA, con l'unica eccezione rappresentata dalla casistica in cui l'intervento edile sia deliberato dal condominio ove è ricompreso un bene immobile di proprietà di soggetto IVA.
Suddetto orientamento interpretativo è confermato anche dalla circolare 24/E dell'8 agosto 2020 dell'Agenzia delle Entrate, con la quale è stato espressamente chiarito che la detrazione spetta anche ai contribuenti persone fisiche che svolgono attività di impresa o arti e professioni, qualora le spese sostenute abbiano ad oggetto interventi effettuati su immobili appartenenti all'ambito "privatistico".
Con la locuzione "al di fuori dell'esercizio di attività di impresa, arti e professioni", il Legislatore parrebbe quindi aver inteso precisare che la fruizione del Superbonus riguarda le unità immobiliari non riconducibili ai cd. "beni relativi all'impresa" o a quelli strumentali per l'esercizio di arti o professioni così come declinati dal TUIR e, dunque, diversi:
- da quelli strumentali, alle predette attività di impresa o arti e professioni;
- dalle unità immobiliari che costituiscono l'oggetto della propria attività;
- dai beni patrimoniali appartenenti all'impresa (tranne per l'eccezione della condominialità per come sopra indicata).
Se il legislatore del Decreto Rilancio, con l'avallo dell'Agenzia delle Entrate nella circolare interpretativa richiamata, ha quindi circoscritto l'ambito di applicazione soggettiva del Superbonus escludendo dal beneficio le unità immobiliari riconducibili ai cd. "beni relativi all'impresa", non può non sorgere un importante interrogativo circa la tenuta costituzionale di siffatta interpretazione restrittiva rispetto a quanto già oggetto di arresto giurisprudenziale, e successivo mutato criterio interpretativo da parte dell'Agenzia delle Entrate, in riferimento alla L. 27 dicembre 2006 n. 296 che ebbe già ad introdurre una detrazione d'imposta del 55% delle spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2007 (poi oggetto di successive proroghe) per la realizzazione di interventi volti al contenimento dei consumi energetici degli edifici esistenti.
Anche la risoluzione dell' Agenzia delle Entrate n. 303/E del 2008 circoscriveva inizialmente l'applicabilità della predetta agevolazione, escludendola per le società esercenti attività di costruzione e ristrutturazione edilizia che avessero eseguito interventi di riqualificazione energetica su immobili merce, costituenti "l'oggetto dell'attività esercitata e non cespiti strumentali" e ciò in quanto "la normativa in materia di riqualificazione energetica risulterebbe finalizzata a promuovere il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici esistenti attraverso un beneficio che un'interpretazione sistematica consente di riferire esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli interventi e non anche ai soggetti che ne fanno commercio" e ciò in conformità allo "scopo perseguito dalla legge che è quello di favorire esclusivamente i soggetti che utilizzano i beni".
La posizione interpretativa espressa con la richiamata risoluzione ha dato tuttavia origine a numerose controversie, sorte nell'ambito dei recuperi a tassazione da parte di società immobiliari per interventi di riqualificazione energetica eseguiti su immobili locati a terzi o destinati alla vendita, qualificabili come beni merce.
A fronte di tali contenzioni la Corte di Cassazione è intervenuta con due importanti sentenze del giugno e novembre 2019 (rispettivamente la n. 19815 e la n. 29162), affermando il principio di diritto in forza del quale: "Il beneficio fiscale per le spese documentate relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta ai soggetti titolari di reddito d'impresa (incluse le società), i quali abbiano sostenuto le spese per l'esecuzione degli interventi di risparmio energetico su edifici concessi in locazione a terzi".
I giudici di legittimità, nel motivare il suddetto principio, hanno osservato che "la ratio legis, che traspare con chiarezza dal testo normativo, consiste nell'intento d'incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell'intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell'interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico, ed è coerente e si salda con il tenore letterale delle norme di riferimento, le quali non pongono alcuna limitazione, né di tipo oggettivo (con riferimento alle categorie catastali degli immobili), né di tipo soggettivo (riconoscendo il bonus alle ‘persone fisiche', ‘non titolari di reddito d'impresa' ed ai titolari di ‘reddito d'impresa', incluse ovviamente le società) alla generalizzata operatività della detrazione d'imposta".
Alla luce della disciplina sopra richiamata l'Agenzia delle Entrate con Risoluzione n. 34/2020 giungeva pertanto a pacificamente accomunare i due regimi, "ecobonus" e "sisma bonus", sotto il profilo dell'agevolabilità degli interventi eseguiti da titolari di reddito di impresa sugli immobili posseduti o detenuti, a prescindere dalla loro destinazione, anche in considerazione delle finalità di interesse pubblico al risparmio energetico – valorizzato dalla Corte di cassazione con le sopracitate sentenze – ed alla messa in sicurezza di tutti gli edifici.
Se la ratio interpretava offerta dai giudici di legittimità in riferimento all'ecobonus 55% è stata pertanto quella di valorizzare e incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell'intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell'interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico, non può non sorgere un critico interrogativo sulle limitazioni soggettive che sono invece state imposte nel Decreto Rilancio che ha escluso dall'agevolazione del 110% per i titolari di reddito d'impresa o comunque per gli esercenti di arti o professioni.
Appare infatti chiaro che il citato Decreto Rilancio, ancorché emanato in una situazione straordinaria afferente alla nota emergenza Covid – 19, persegua il medesimo fine della normativa di cui alla L. 296/2006 relativa al bonus 55%, fine rappresentato appunto dalla volontà di incentivare il miglioramento energetico dell'intero patrimonio immobiliare nazionale, sempre in funzione della tutela dell'interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico.
Se i presupposti e le finalità della ratio della norma sono pertanto gli stessi tra le due normative, stride, in termini di equità sostanziale e di ragionevolezza, la discriminazione dell'ambito soggettivo di applicazione dell'Ecobonus 110% previsto oggi dal Decreto Rilancio che ha escluso i titolari di reddito d'impresa dal beneficio, nel mentre i medesimi soggetti giuridici, grazie anche al principio offerto dalla Corte di Cassazione nelle sentenze richiamate, sono stati invece successivamente ritenuti meritevoli di applicazione della detrazione del 55% previsto dalla L. 296/2006.
Il bilanciamento degli interessi perseguiti nel Decreto Rilancio e nella L. 296/2006, apparendo infatti astrattamente identici poiché entrambi volti alla tutela del risparmio energetico del patrimonio immobiliare nazionale, laddove diversamente applicati nell'ambito di destinazione soggettiva dei beneficiari per come allo stato la norma sul 110% viene restrittivamente interpretata, non può che evocare una obbiettiva disparità di trattamento disparità che, al vaglio del giudice Costituzionale invocabile a margine di contenziosi sul tema, potrebbe aprire scenari molto interessanti circa l'ampliamento anche nei confronti dei titolari di redditi d'impresa (o comunque di esercenti arti o professioni) dell'Ecobonus e del Sismabonus del 110%.
* LEONARDO BIANCHINI – Partner di LS Lexjus Sinacta - Avvocato, operante nell'area del diritto societario e d'impresa