Penale

Furto di energia, quando è perseguibile d’ufficio (dopo la riforma Cartabia)

Lo Cassazione, sentenza n. 37953 depositata oggi, chiarisce che l’aggravante della destinazione al “pubblico servizio” (sottrazione dalla rete Enel) deve essere palese nel capo di imputazione

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di Francesco Machina Grifeo

Ai fini della procedibilità d’ufficio del reato di furto di energia elettrica, la circostanza aggravante dell’essere il bene destinato al pubblico servizio va chiarita sin dalla imputazione, in modo da consentire il corretto esercizio del diritto di difesa. Infatti, la destinazione pubblica non può più darsi per scontata considerata, per esempio, la diffusione della autoproduzione di energia. È però sufficiente che, nell’atto di accusa, venga chiarito che la sottrazione è avvenuta ai danni dell’Enel mediante accesso alla rete. Lo ha chiarito la Cassazione, sentenza n. 37953 depositata oggi, accogliendo il ricorso del Pg presso la Corte di appello di Catania contro la sentenza che invece aveva dichiarato tardiva la contestazione suppletiva del Pm, e cioè l’aggravante dell’essere il bene destinato al pubblico servizio, che avrebbe consentito di procedere anche in assenza di querela di parte, divenuta necessaria con la riforma Cartabia.

La V Sezione penale ricorda che secondo un primo orientamento, nel furto di energia elettrica, la circostanza aggravante può ritenersi legittimamente contestata, senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, in quanto l’energia elettrica è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio. In altri arresti, invece, si evidenzia come l’aggravante non possa considerarsi legittimamente contestata qualora la destinazione a pubblico servizio non sia esposta in modo esplicito.

Per la Cassazione, se è indubbia la “rilevanza pubblicistica di un bene come l’energia elettrica”, è però decisivo, ai fini della circostanza aggravante, l’accertamento della concreta destinazione del bene ad un pubblico servizio. “La pluralità di destinazioni che il bene-energia ha storicamente avuto - si legge nella decisione - e che potrà continuare ad avere (si pensi alla sempre maggiore diffusione di forme provate di autoproduzione di energia), comporta, infatti, che la destinazione di tale bene a un pubblico servizio non sia necessaria, vale a dire ontologicamente caratterizzante il bene medesimo”, ma richiede una valutazione da parte dell’interprete che può “in alcuni casi rilevarsi complessa”.

E allora, tornando al caso specifico, diventa dirimente verificare se il capo di imputazione sia stato formulato in modo tale da aver reso “pienamente esercitabili i diritti di difesa dell’imputato, anche in relazione alla circostanza aggravante dell’essere stato, il bene sottratto, destinato a pubblico servizio”.

Per la Cassazione “lo scopo è stato in concreto raggiunto poiché, come emerge dalla lettura del capo di imputazione, il pubblico ministero ha fatto esplicito riferimento alla condotta di furto di energia elettrica posta in essere in danno dell’ENEL, mediante accesso diretto alla rete di distribuzione dell’ente erogatore, reso possibile da un allaccio abusivo, rete che, per l’appunto, fornisce un ‘servizio’ destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’evidente e oggettiva esigenza di rilevanza pubblica”.

Risulta dunque “palese”, conclude la Corte, l’errore del giudice di merito che, pur in presenza di un’adeguata contestazione della circostanza aggravante, idonea a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece “erroneamente ritenuto che nel caso di specie la stessa mancasse”. Il ricorso del Pm dunque è stato accolto “perché l’originaria contestazione del reato era idonea a renderlo procedibile di ufficio”.

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