Il solo possesso del cellulare durante l’esame pubblico fa scattare l’esclusione
Si tratta di una decisione che poggia e, forse va detto, si espande rispetto alla mera legalità invadendo categorie morali quali la fiducia compromessa, anche in assenza di un danno concreto a causa dell’immaturità del candidato
Con la sentenza n.7341/2025 il Consiglio di Stato affronta un tema che intreccia disciplina, tecnologia e diritti della persona: l’uso del cellulare durante l’esame di Stato.
La decisione ribadisce e innova, insieme, un principio che si proietta oltre la singola aula scolastica: la legalità amministrativa non tollera eccezioni emotive o soggettive quando si tratta di garantire parità tra candidati e affidabilità dell’esame pubblico. Per Palazzo Spada, l’esclusione del candidato sorpreso con un secondo telefono è legittima, anche se il dispositivo non è stato usato per copiare o comunicare. Ciò che rileva, secondo i giudici, è la violazione del patto di fiducia che sorregge ogni prova pubblica: il rispetto delle regole è di per sé condizione del merito. L’uso o il solo possesso occulto di un dispositivo elettronico durante la prova mina la credibilità dell’intero sistema valutativo, e l’espulsione immediata diventa quindi non solo lecita, ma doverosa.
L’immaturità del candidato non giustifica disparità in sede di esame
La vicenda, nella sua apparente semplicità, si consuma in un’aula silenziosa, al mattino di giugno. L’odore acre della carta stampata, le penne che scorrono, il fruscio di fogli e sguardi tesi. Una candidata consegna il proprio cellulare come da regolamento, ma ne tiene con sé un altro, nascosto. Quando un commissario nota il gesto furtivo, un movimento lieve, l’equilibrio della scena si incrina. L’apparecchio emerge, il brusio cresce, e in pochi minuti la ragazza viene esclusa. Poi il ricorso, la cautelare che le consente di sostenere l’esame, la vittoria provvisoria, l’81 finale, il conforto del successo. Ma la giustizia amministrativa non conosce emozioni. Nel verdetto definitivo, ogni sfumatura si dissolve: resta solo il dato, nudo e giuridico, dell’irregolarità commessa: il fragile equilibrio della fiducia è infranto. La candidata non è “matura”. Esame da rifare.
È in questo passaggio che la decisione del Consiglio di Stato assume un respiro più ampio e innovativo. Il principio che emerge non è solo quello della sanzione per un comportamento vietato, ma della tutela dell’eguaglianza sostanziale nelle prove pubbliche. La Corte amministrativa ridefinisce il concetto stesso di “utilizzo” del cellulare: non serve provare che il dispositivo sia stato effettivamente impiegato per comunicare o ricevere aiuti; basta il suo occultamento, l’intenzione implicita di poterlo fare, per spezzare il rapporto fiduciario che rende autentico un esame. In questo senso, la sentenza disegna una linea di confine tra l’errore materiale e la volontà potenziale di eludere la regola, affermando che il diritto amministrativo può leggere la condotta non solo nella sua materialità, ma anche nella sua simbologia.
La novità più profonda è però nella visione del rapporto tra libertà personale e regola collettiva. Il Consiglio di Stato non nega l’importanza dei disturbi d’ansia, né banalizza la dimensione psicologica dell’agire umano; ma stabilisce che tali condizioni non possono trasformarsi in licenza di derogare a regole generali, soprattutto quando queste regole garantiscono parità e imparzialità.
Tecnologia e rispetto della trasparenza amministrativa
È un punto di equilibrio sottile, che segna un ritorno alla centralità del dovere pubblico: non ogni vulnerabilità individuale genera un diritto all’eccezione. L’innovazione della sentenza sta anche nella sua capacità di proiettarsi oltre l’aula d’esame. La decisione afferma implicitamente che in tutti i contesti in cui si misura il merito — concorsi, selezioni, valutazioni eccetera — la trasparenza procedurale è bene giuridico primario.
La tecnologia, che rende possibili nuovi strumenti di frode, diventa a sua volta oggetto di diritto: il suo controllo non è più solo tecnico, ma etico-istituzionale. Così, il divieto di possesso di dispositivi elettronici non è più una regola di dettaglio, ma un presidio di equità e fiducia. Infine, il Collegio introduce una riflessione di metodo che tocca la sostanza dell’azione amministrativa: il principio di proporzionalità non può trasformarsi in indulgenza.
I principi dell’espulsione dalla prova di esame
In materia di prove pubbliche, la sanzione non misura il danno arrecato, ma la lesione del valore comune che è la parità di trattamento. Espellere un candidato che tenta di infrangere le regole — o che anche solo si pone nella condizione di farlo — non è crudeltà burocratica, ma tutela del bene collettivo della fiducia pubblica.
È questa la modernità, quasi costituzionale, della decisione di Palazzo Spada: la legalità non è una barriera contro la persona, ma il suo più alto strumento di riconoscimento. E, forse, il lascito più attuale di questa pronuncia è il suo richiamo all’etica della responsabilità. In un tempo in cui la tecnologia accompagna ogni gesto umano, anche la regola giuridica deve imparare a leggere i simboli della fiducia. Non serve un algoritmo per misurare la correttezza, serve la consapevolezza che ogni deviazione — anche minima — mette in gioco l’intero edificio della credibilità pubblica. La giustizia, qui, non punisce: educa. E lo fa ricordando che la lealtà è il primo atto della cittadinanza.







