Incompatibilità del magistrato amministrativo, il solo "impegno" del figlio avvocato non basta
Il Consiglio di Stato con la sentenza 2759/2021 ha sposato la linea più rigida
Il principio di neutralità del Giudice è un cardine delle costituzioni europee che permea sia il diritto eurounitario che quello convenzionale. Esso, come insegnato dalla Corte europea di giustizia, si concreta nella "equidistanza" del giudice rispetto alle parti. E tale prospettiva richiede l'osservanza della neutralità e la mancanza di qualunque coinvolgimento personale del magistrato nella controversia. Unico faro è: la prudente applicazione della norma giuridica e del suo profondo spirito informatore. Pertanto si badi, la giurisdizione va organizzata in modo tale da non favorire neppure "il lontano dubbio" che un rapporto di familiarità tra un magistrato ed un suo congiunto possa assurgere a privilegio per il parente che eserciti la professione forense; ovvero a ipotetica "contaminazione personale" dei processi ai quali il magistrato non partecipi direttamente, tuttavia sui quali possa esercitare un ipotetico ascendente. In altre parole la cosiddetta "incompatibilità parentale" ossia la adulterazione della terzietà del magistrato, può dipendere non solo dall'immediato coinvolgimento dello stesso in una specifica controversia, ma anche dal mero "sos petto" che i colleghi del magistrato possano essere persuasi ad "appoggiarne" il parente avvocato. Ebbene su questo filone interpretativo già percorso dal Tar Lazio - purtuttavia ribaltandone l'applicazione nel caso concreto - con la sentenza 2759/2021 il Consiglio di Stato ha abbracciato la lettura rigida della normativa di set tore, con particolare riguardo al valore da attribuirsi ad un "impegno" del figlio avvocato a non occuparsi di processi amministrativi, anzi persino delle liti stragiudiziali, laddove il padre sia nominato presidente del Tar territoriale.
Un "impegno" non bypassa l'incompatibilità
Secondo il Consiglio di Stato non è conforme alla normativa vigente, l'assunto recato nella motivazione della sentenza Tar in primo grado, secondo cui l'atipica e privata dichiarazione del figlio avvocato del magistrato amministrativo comporterebbe una presunzione di superamento dell'incompatibilità legale; con ciò "scaricando" sull'organo di governo autonomo l'onere invertito di dimostrare l'eventuale sussistenza di casi peculiari ed eccezionali di permanente incompatibilità ambientale.
La disciplina ordinamentale
L'Ordinamento giudiziario in tema di incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense è applicabile ai magistrati amministrativi in forza della disciplina sulla giurisdizione amministrativa. La normativa sulla incompatibilità dei magistrati evidenzia che gli stessi non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato. I criteri di verifica della ricorrenza in concreto dell'incompatibilità di sede tengono in considerazione non solo la rilevanza della professione forense svolta davanti all'ufficio di appartenenza del magistrato; ma anche le dimensioni dell'ufficio di appartenenza del magistrato; nonché la materia trattata dal magistrato e dal professionista; e infine la funzione specialistica dell'ufficio giudiziario. Ricorre situazione di incompatibilità con riguardo ai Tribunali organizzati in un'unica sezione e va rilevato che i magistrati preposti alla direzione di uffici sono sempre in situazione di incompatibilità di sede ove un parente o affine eserciti la professione forense presso l'Ufficio dagli stessi diretto, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali organizzati in una pluralità di sezioni. I medesimi criteri sono richiamati da apposita circolare del 2006 del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa che ha rimesso alla valutazione discrezionale dell'organo di autogoverno le situazioni di incompatibilità alla luce in particolare: delle dimensioni dell'ufficio e del foro locale; della natura della funzione esercitata dal magistrato, e in particolare se ricopra funzioni direttive o semidirettive; del tempo di permanenza in sede; del specifico settore professionale dell'avvocato.
Per l'incompatibilità basta "l'apparenza"
A ben vedere si tratta di disposizioni involgenti la riduzione del margine di valutazione discrezionale. Dal descritto quadro normativo è riscontrabile una "presunzione" assoluta di incompatibilità di sede per i presidenti di uffici giudiziari monosezionali. La disciplina non consente di pervenire alla soluzione per cui l'impegno personale dell'avvocato-congiunto di astenersi da ogni attività, anche stragiudiziale, nel campo del diritto amministrativo, dismettendo altresì gli incarichi già affidatigli, sia idonea a rimuovere lo stato di incompatibilità voluto dalla legge a tutela, non solo della sostanza, ma anche della semplice "apparenza" dell'imparzialità e della terzietà del giudice. Elementi questi ultimi certamente non meno importanti per la tranquilla fiducia che i cittadini devono poter riporre nella Giustizia.
Il cosiddetto diritto al giudice e la "lealtà" del magistrato
Sia per il diritto eurounitario che per quello convenzionale il cosidetto diritto al giudice spetta in pari modo a tutti. Diversamente si determinerebbe in via di interpretazione, un'alterazione della cristallina volontà della legge, con illegittima inversione della sua disciplina, spogliandola del contenuto precettivo che le è proprio. Il prezioso affidamento generale dei cittadini si troverebbe a rischio di disorientamenti e incertezze. In altre parole siamo in presenza di una presunzione assoluta di incompatibilità che opera per categorie e che astrae dalla necessità di un "concreto" conflitto di interessi, e perciò non prevede né ammette prove contrarie. In proposito – evidenzia il Consiglio di Stato - "lealmente" il magistrato aveva chiaramente rappresentato la situazione riguardante il figlio esercente in regione la professione legale, senza lasciare che la stessa circostanza venisse a rivelarsi in seguito.