Amministrativo

No all’adozione di provvedimenti amministrativi senza confronto con i privati diretti interessati

La decisione pone un limite chiaro a prassi amministrative riduttive, nelle quali il preavviso diventa un atto vuoto e la successiva motivazione si risolve in una mera conferma automatica e non ragionata della posizione originaria

di Pietro Alessio Palumbo

Il Tar Molise - con la sentenza n. 312/2025 - ha chiarito che la pubblica amministrazione non può adottare il provvedimento finale, senza confrontarsi in modo effettivo con le osservazioni formulate dal privato, a seguito del preavviso di rigetto.

Il Collegio afferma che l’obbligo di valutazione non è riducibile a un adempimento meramente formale: richiede un riscontro riconoscibile nella motivazione finale, anche sintetico, ma tale da dimostrare che gli elementi introdotti dall’interessato siano stati integrati nel quadro istruttorio.

 In assenza di tale passaggio, il provvedimento risulta affetto da illegittimità, poiché emesso sulla base di un’istruttoria incompleta e in violazione della logica collaborativa che governa i procedimenti ad istanza di parte.
La decisione pone un limite chiaro a prassi amministrative riduttive, nelle quali il preavviso diventa un atto vuoto e la successiva motivazione si risolve in una mera conferma automatica e non ragionata della posizione originaria.

La sentenza chiarisce che la partecipazione procedimentale non può essere neutralizzata attraverso l’inerzia valutativa dell’Amministrazione. Quando l’interessato introduce fatti nuovi, dati aggiornati o elementi idonei a incidere sulla ricostruzione dei presupposti del provvedimento, la pubblica amministrazione deve considerarli come parte integrante dell’istruttoria e procedere a una rivalutazione coerente. Il Collegio evidenzia che il diniego non può fondarsi esclusivamente sui dati che avevano sorretto il preavviso se nel frattempo sono sopraggiunte informazioni che hanno modificato la prospettiva originaria.

Il peso delle osservazioni del privato

La sequenza degli eventi della vicenda può essere così ricostruita. Dopo il preavviso, il destinatario non resta passivo, raccoglie dati aggiornati, elabora osservazioni puntuali, seleziona documenti capaci di incidere direttamente sul presupposto contestato. Non si limita a replicare: riorganizza il quadro fattuale con elementi più recenti e più affidabili di quelli utilizzati dall’Amministrazione. La trasmissione delle osservazioni avrebbe dovuto riaprire l’istruttoria, inducendo l’autorità a verificare se l’impianto motivazionale iniziale resistesse alla luce delle nuove evidenze. Invece il provvedimento conclusivo si presenta come una replica pressoché speculare del preavviso, priva di qualsiasi traccia del materiale sopravvenuto. È questo scarto a colpire il Collegio: la fase partecipativa diventa un segmento puramente apparente, un passaggio che non incide sulla decisione perché la decisione sembra già formata prima che le osservazioni arrivino sul tavolo. Il risultato è un atto finale che tradisce la sua stessa funzione perché mostra un’istruttoria “immobile” davanti a elementi che, per natura e contenuto, avrebbero imposto un riesame effettivo. Ed è proprio in questa distanza — tra ciò che è stato fornito e ciò che è stato considerato — che si radica l’illegittimità riconosciuta dal giudice.

Il principio affermato

Il Tar intercetta questo scarto tra forma e sostanza e richiama l’Amministrazione a un metodo diverso. Il principio esposto dal Collegio incide profondamente sul modo in cui deve essere costruita la motivazione amministrativa. Il destinatario del provvedimento non deve supporre che le sue osservazioni siano state prese in considerazione: deve leggerlo chiaramente. Per il giudice, l’Amministrazione non ha l’onere di smontare analiticamente ogni passaggio, ma deve mostrare che la propria volontà si è formata anche alla luce delle repliche ricevute. In mancanza di tale ponte logico, l’atto amministrativo perde trasparenza, perché non rende percepibile il rapporto tra la posizione originaria e gli apporti introdotti dal privato. La motivazione, invece, deve essere lo spazio in cui si vede la trasformazione del quadro istruttorio, non il luogo in cui si ripete meccanicamente ciò che era stato anticipato nel preavviso. La sentenza, dunque, attribuisce un significato sostanziale alla partecipazione procedimentale: non un passaggio rituale, ma un momento in cui potere pubblico e iniziativa privata si incontrano per costruire, insieme, la decisione.

Altro profilo di novità risiede nell’attenzione ai dati aggiornati. Il Collegio osserva che quando il privato porta elementi più recenti e più pertinenti alla verifica dei presupposti, la pubblica amministrazione non può ignorarli mantenendo ferma la valutazione basata su informazioni superate. Questo principio interrompe una diffusa prassi: ritenere sufficiente un quadro originario anche se il procedimento mette a disposizione elementi che lo superano. Il Tar afferma che una decisione amministrativa deve essere il risultato di un’istruttoria capace di recepire ciò che accade lungo il percorso. La pubblica amministrazione non è tenuta a condividere la prospettiva dell’interessato, ma è obbligata a mostrarne l’incidenza sul proprio ragionamento. È questa la dimensione più innovativa: la motivazione non è un recinto chiuso, ma un organismo dinamico che deve evolversi insieme ai contributi del procedimento. Se questo movimento manca, manca anche la legittimità dell’atto.

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