Professione e Mercato

L'avvocato può agire contro l'ex cliente se autorizzato

Per il CNF, il professionista è liberato dal vincolo deontologico imposto solo se c'è autorizzazione espressa da parte dell'ex cliente

di Marina Crisafi

Il precetto che vieta all'avvocato di assumere incarichi contro un ex cliente può ritenersi superato se c'è un'autorizzazione espressa da parte dello stesso. È quanto ha ribadito il Consiglio Nazionale Forense (sentenza n. 142/2021), decidendo una vicenda che ha per protagonisti due avvocati sanzionati per diverse violazioni del codice deontologico.

I fatti
Il tutto iniziava con l'esposto inoltrato al Coa di Treviso da parte di un ex assistito che si lamentava della condotta posta in essere dai due professionisti i quali dapprima lo avevano assistito unitamente alla moglie, nella causa di separazione consensuale omologata dal tribunale trevigiano e successivamente avevano assunto la difesa di quest'ultima in una serie di giudizi, nei confronti dell'esponente e dei suoi parenti.
Il Coa deliberava l'apertura del procedimento per violazione degli artt. 5 e 51 del vecchio codice deontologico e, come previsto dalla legge 247/2012, trasferiva gli atti al Consiglio di disciplina veneto, il quale confermava in toto la decisione nei confronti di entrambi gli avvocati e apriva procedimento disciplinare.
Dal canto loro gli avvocati, precisavano con note difensive che in realtà, pur essendo il mandato alle liti conferito disgiuntamente ad entrambi, uno di loro non aveva mai assistito i coniugi in sede di separazione né nelle varie vertenze successive, tant'è che non aveva mai sottoscritto alcun atto. L'altro, per quanto concerne la propria posizione, precisava che nel suo comportamento non erano ravvisabili gli estremi della violazione del dovere di probità, dignità e decoro, poiché si era limitato, in sede di separazione, a trasfondere nel ricorso gli accordi presi fra le parti e che pertanto non poteva essere definita quale "controversia" e che, comunque, nel mandato conferito in sede di separazione era prevista anche la rappresentanza delle parti in altri procedimenti connessi, compreso quello, di esecuzione.

La tesi del CDD
Il CDD Veneto, anzitutto, distingueva le condotte dei due incolpati, sanzionandole anche diversamente. Riguardo al secondo ricorrente, infatti, dall'indagine istruttoria era pacifico che, pur svolgendo la professione in associazione con il collega, non aveva sottoscritto alcun atto né aveva svolto attività di udienza, rimanendo sostanzialmente ai margini della vicenda.
Riteneva comunque sussistere la violazione deontologica, anche se "lieve e scusabile", in quanto quale socio dello studio avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione nella verifica e controllo delle pratiche in essere.
Tutto ciò giustificava l'applicazione nei suoi confronti del solo richiamo verbale.
Al contrario, riguardo all'altro avvocato veniva ritenuta provata la responsabilità deontologica e infondate le giustificazioni ed eccezioni formulate e dedotte.
Sia in ordine all'eccepita prescrizione, atteso che la condotta posta in essere integra un illecito disciplinare permanente, sia le giustificazioni addotte a scusanti del comportamento praticato relativamente al contenuto e alla natura dell'attività professionale prestata.
Per il Cdd, infatti, non c'è nessuna scusante, poiché "il divieto posto dal codice deontologico prevede un divieto assoluto di astensione, fondato sulla esigenza di garantire la massima tutela possibile degli interessi delle parti in materia di diritto di famiglia: è la stessa norma deontologica che opera la valutazione di sussistenza della situazione di conflitto di interesse con la conseguenza che non è necessario procedere ad indagare se vi sia stato o meno nel caso oggetto di giudizio , una reale o anche solo potenziale situazione di conflitto di interesse".
Pertanto, all'esito del dibattimento nei confronti dell'avvocato veniva applicata la sanzione della sospensione.

Le tesi degli avvocati
Gli avvocati non ci stanno e impugnano il provvedimento reiterando le ragioni già illustrate nel corso del procedimento disciplinare e insistendo sull'insussistenza dell'illecito per mancanza oggettiva di una situazione di conflitto di interesse, considerato l'attività di "carattere sostanzialmente notarile" svolta in sede di separazione consensuale degli ex coniugi, i quali avevano già raggiunto in autonomia gli accordi da formalizzare. Inoltre, aggiungevano che la natura della prestazione non poteva rivestire i canoni di "controversia", nel senso stabilito dalla norma deontologica, trattandosi di "procedimento di volontaria giurisdizione, in cui l'assistenza tecnica legale non è obbligatoria".
Non solo. I due chiedevano l'applicabilità, al caso di specie, del codice deontologico del 1997 e contestavano l'illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione (comminata ad uno dei due ricorrenti) e ritenuta sproporzionata, e in subordine l'applicabilità della sanzione attenuata, ai sensi dell'articolo 22 ultimo comma del codice deontologico del 2014.

La decisione
Per il CNF, il ricorso è parzialmente fondato e meritevole di accoglimento sul punto. Preliminarmente il consiglio dichiara inammissibile il ricorso del secondo avvocato, il quale tra l'altro non ha sottoscritto il ricorso e non risulta conferita procura speciale.
Riguardo al ricorso dell'altro professionista incolpato, il Cnf conferma l'operato del Cdd sul divieto di assumere l'incarico nei confronti dell'ex cliente, ribadendo che tale divieto "prescinde dalla natura giudiziale o stragiudiziale dell'attività prestata ed è soggetto al limite temporale di 2 anni dalla cessazione del rapporto professionale". Il Cnf ricorda, quindi, che da tale vincolo deontologico, l'avvocato può essere sciolto solo dall'autorizzazione espressa dell'ex cliente (cfr. Cnf n. 123/2018).
Per cui, sono del tutto irrilevanti e ininfluenti le censure mosse dal ricorrente.
Quanto all'applicazione delle norme del codice deontologico previgente, afferma ancora il Cnf, è vero che il vecchio codice non prevedeva espressamente la sanzione applicabile, lasciando ampia discrezionalità in rapporto ad una valutazione del caso concreto, ma, con la riforma professionale del 2012 il legislatore ha introdotto il principio della tipizzazione delle condotte (seppure in via tendenziale, al fine di non escludere il rilievo di comportamenti disciplinarmente rilevanti non espressamente previsti) unitamente all'espressa indicazione della sanzione applicabile. Tipizzazione che, come già affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. SU n. 11933/2019) costituisce peraltro una "garanzia maggiore per l'incolpato".
Tuttavia, trattandosi di questione che concerne esclusivamente la misura della sanzione, prosegue il Cnf, "in ossequio al principio enunciato dall'art. 21 cdf (già art. 3 codice previgente), nei procedimenti disciplinari l'oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato e tanto al fine di valutare la sua condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata, che non potrà se non essere l'unica nell'ambito dello stesso procedimento, nonostante siano state molteplici le condotte lesive poste in essere. Tale sanzione, quindi, non è la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, quanto invece il frutto della valutazione complessiva del soggetto interessato".
Perciò avuto riguardo, nel caso di specie, al comportamento osservato, all'assenza di precedenti disciplinari, alla buona fede e all'assenza di pregiudizio, anche solo potenziale, per il consiglio è giustificata una riduzione della sospensione in ragione di mesi due.

Il principio affermato dal CNF
Viene, infine, ribadito dal Cnf il principio secondo cui, "Il precetto deontologico di cui all'art. 68 cdf (già art. 51 codice previgente) non consente all'avvocato di assumere incarichi contro ex clienti, a meno che sia decorso un ragionevole periodo di tempo, l'oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza e non vi sia possibilità, per il professionista, di utilizzare notizie precedentemente acquisite. Tuttavia, pur quando non ricorrano nella fattispecie tutte le condizioni innanzi richiamate, il rigido tenore della predetta norma può ritenersi superato allorché il soggetto – alla cui tutela la norma è in parte orientata -, autorizzando espressamente il professionista a non tener conto del divieto, lo libera dal vincolo deontologico impostogli dal precetto".

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