Responsabilità

La corresponsabilità del minore riduce ulteriormente il risarcimento ai genitori solo se il fatto è illecito

Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza n. 26798/2025, con riguardo al caso di un ragazzo morto per overdose, spiegando che se il fatto non è illecito non scatta l’ulteriore decurtazione del risarcimento

di Francesco Machina Grifeo

I genitori del minore che abbia acquistato e poi assunto volontariamente un quantitativo mortale di droga subiranno una riduzione del risarcimento del danno (patito iure proprio), in quanto la condotta del figlio deceduto ha, in parte, materialmente causato l’evento danno. Non potranno però subire una ulteriore riduzione del risarcimento in quanto genitori e dunque responsabili se la condotta del minore - come nella specie - non era illecita. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 26798/2025, rigettando il ricorso dello spacciatore e dei suoi genitori, in quanto all’epoca della cessione anch’egli era minorenne.

Il caso era quello di un minorenne morto dopo essersi iniettato una dose di eroina acquistata da un coetaneo. I genitori e la sorella della vittima citarono in giudizio sia il venditore, quale responsabile diretto ex art. 2043 c.c., sia i suoi genitori, ritenendoli corresponsabili per omessa vigilanza e inadeguata educazione del figlio, ai sensi dell’art. 2048 c.c. Il Tribunale di Perugia accertò che la morte era stata causata dalla dose di eroina ceduta, ritenendo provata anche la responsabilità dei genitori. Tuttavia, attribuì alla vittima un concorso causale del 50%, poiché l’assunzione della droga era stata volontaria e consapevole. La Corte d’appello di Perugia confermò la decisione.
Contro questa decisione hanno proposto ricorso i genitori del cedente sostenendo che i genitori della vittima avrebbero dovuto subire una riduzione del risarcimento per culpa in educando e in vigilando.

Per la Suprema corte però la decisione dei giudici di merito “è (condivisibilmente) fondata, di converso, su di una lettura dell’art. 2048 c.c. che istituisce i genitori responsabili del fatto (del minore) solo qualora esso sia illecito”. E tale non può essere considerata l’assunzione di droga. “Del tutto fuori fuoco”, scrive la Corte, la tesi secondo cui anche il consumo personale, in quanto oggetto di sanzione amministrativa (art. 75 del TU stupefacenti), sarebbe “disapprovato” dall’ordinamento (e pertanto integrante una fattispecie di illecito); così come l’assunto per cui anche la condotta di chi acquista e consuma lo stupefacente possa qualificarsi in termini di “concorso” con quella, illecita, dello spacciatore nella determinazione dell’evento.

In definitiva per la Suprema corte vanno affermati una serie di principi di diritto. Il primo riguarda la responsabilità cd. “vicaria” dei genitori del minore, e chiarisce che “ai fini della (ulteriore) riduzione del risarcimento del danno subito iure proprio (nella specie, morte del figlio per assunzione di sostanza stupefacente) e già ridotto in applicazione del comma primo, prima parte, dell’art. 1227 c.c. per essere stata ritenuta la condotta del danneggiato concausa dell’evento di danno, deve valutarsi esclusivamente se quest’ultimo abbia tenuto o meno un comportamento illecito, ossia oggettivamente in contrasto con una regola di condotta stabilita da norme positive, a prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità”.

Il secondo principio si riferisce al nesso di causalità e chiarisce che “la norma di cui all’art. 1227, comma 1, prima parte c.c. ha riguardo all’accertamento del nesso di causalità materiale, onde l’eventuale contributo causale della vittima all’evento dannoso è di tipo oggettivo e prescinde dall’imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo. L’eventuale condotta della vittima incapace, deve - pertanto - essere valutata alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell’uomo medio, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere. Una siffatta valutazione oggettiva della condotta della vittima incapace, qualora non integri gli estremi di un autonomo fatto illecito, assorbe ogni rilievo circa la condotta del soggetto tenuto alla sua sorveglianza sotto il profilo di una sua eventuale culpa in vigilando e/o in educando, in quanto quest’ultima resta di fatto assorbita e superata dal fatto che la valutazione della condotta della vittima incapace viene effettuata secondo un criterio che non tiene conto della sua incapacità, operando invece su di un piano esclusivamente oggettivo e materiale”.

Infine, il terzo assunto afferma che “il principio di cui all’art. 1227 c.c. della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’efficienza con-causale della condotta del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio, restando peraltro esclusa – nell’ipotesi in cui la condotta concorrente della vittima non abbia il carattere dell’illecito, giusta il principio di cui all’art. 2048 c.c. - la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro ipotetico concorso nella sua causazione per culpa in educando o in vigilando”.

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