Liquidazione compensi avvocato, il taglio della nota spese va sempre motivato
La Cassazione, ordinanza n. 27268 depositata oggi, ha anche chiarito che in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione applica la disciplina vigente anche per il primo grado
Arrivano utili precisazioni della Cassazione in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati. In particolare, per la Sezione tributaria, ordinanza n. 27268 depositata oggi, in presenza di una nota spese “specifica” prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice “non può limitarsi ad una liquidazione globale forfetaria degli esborsi, in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione della riduzione o eliminazione delle voci da lui operata”.
Il caso era quello di un uomo che aveva chiesto al Fisco il rimborso del 90% dell’Irpef versata secondo le norme di favore all’epoca previste per il “Sisma Sicilia”. A seguito del “silenzio rifiuto” dell’amministrazione, aveva impugnato il diniego ricevendo risposta negativa sia in primo grado che in appello; la Suprema corte infine ne aveva accolto il ricorso. In sede di rinvio, la CTR Sicilia-Siracusa decidendo finalmente in modo a lui favorevole aveva però stabilito una condanna alle spese dell’Ufficio “palesemente incongrua e al di sotto dei minimi tariffari”. Erano infatti stati liquidati per spese di lite 300 euro per il primo grado, e poi altri 600 euro per ogni ulteriore fase: appello, cassazione e giudizio di rinvio.
Nel ricorso, la parte aveva lamentato che la liquidazione era avvenuta in modo forfettario per ciascun grado, richiamando i parametri del Dm 140/2012 e discostandosi senza alcuna motivazione dalla nota spese redatta ai sensi del Dm n. 55/2014; inoltre violando i limiti tariffari.
Nell’accogliere le doglianze, la Corte ha affermato che i parametri introdotti dal Dm n. 55 del 2014 “trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata”.
Ne consegue – continua il ragionamento della Cassazione citando un precedente (19989/2021) - che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso prima della entrata in vigore del Dm, non operano i nuovi parametri di liquidazione, “dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado”. Con un principio applicabile anche alla fattispecie in questione, si è però anche chiarito che “in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello”, e questo perché “l’accezione omnicomprensiva di ‘compenso’ evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza”.
E allora tornando al caso concreto poiché la sentenza di rinvio è del 2020 ed essa doveva procedere alla liquidazione – in quel momento – di tutti i gradi del giudizio, “il giudicante avrebbe dovuto applicare i parametri di cui al d.m. 55/2014, provvedendo altresì a confrontarsi motivatamente con la nota spese specificamente redatta dalla parte vittoriosa e in linea con tali parametri”.
Infine, i giudici ribadiscono che qualora – come nel caso di specie - la liquidazione dei compensi e delle spese di lite avvenga in base ai parametri del Dm n. 55/2014, come modificato dal Dm n. 37/2018, il giudice non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile.