Famiglia

Maggiore età e lavoro fermano l’obbligo di mantenere il figlio

di Giorgio Vaccaro

Sì all’assegno per i figli maggiorenni se non sono ancora autosufficienti. Ma i genitori non possono versare il contributo per sempre. Quando si parla di adulti, infatti, entra in gioco il principio di autoresponsabilità, che contrasta con la situazione del figlio di età avanzata che non abbia acquisito un’autonomia economica. Né occorre una norma che stabilisca con precisione a quale età termina l’obbligo di mantenere i figli: perché la capacità lavorativa si acquista con la maggiore età, a meno che l’assegno non sia giustificato per completare un percorso di studi o di formazione. È l’orientamento che emerge dalle pronunce della Cassazione che, negli anni, hanno precisato i confini dell’obbligo per i genitori separati o divorziati di contribuire al mantenimento dei figli.

Quello di mantenere i figli è un dovere che scatta con la nascita o l’adozione, che grava su entrambi i genitori e a cui il nostro ordinamento riconosce un’ampia tutela. Questo per evitare che, dopo la crisi della relazione di coppia, il genitore non convivente con i figli, nello sforzo di impostare una nuova vita, venga meno agli obblighi nei confronti dei figli. La Cassazione ha così affermato la centralità degli oneri di mantenimento e ha contrastato ogni interpretazione non orientata ad assicurare ai figli minori un sereno sviluppo e una crescita conforme alle loro aspirazioni. Ai figli minori sono equiparati i figli maggiorenni, sino a quando non abbiano raggiunto una loro autonomia reddituale.

In particolare, la Cassazione ha chiarito che il diritto del figlio maggiorenne di ricevere un contributo al mantenimento si giustifica all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo tenendo conto, in base all’articolo 147 del Codice civile, delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, posto che la funzione educativa del mantenimento è idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo, avendo riguardo al tempo occorrente mediamente necessario per il suo inserimento nella società (sentenza 12952 del 2016).

In ogni caso, l’onere di mantenere un maggiorenne è un punto dolente per il genitore obbligato. Anche perché si tratta di situazioni che - in alcuni casi - sfociano in abusi. Va poi considerato che, nel nostro ordinamento, non è facile passare al mantenimento diretto del figlio divenuto maggiorenne. In base all’orientamento prevalente, infatti, il genitore separato o divorziato non può pretendere - in mancanza di una specifica domanda del figlio maggiorenne - di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anziché versare il mantenimento all’altro genitore che vive con il figlio (Cassazione, ordinanza 18008 del 2018).

A chiarire i termini della durata dell’obbligo e dell’ampiezza del diritto del figlio maggiorenne non ancora autonomo economicamente è intervenuta da ultimo l’ordinanza della Cassazione 17183 del 14 agosto 2020. La Suprema corte ha affermato come - ferma restando l’assoluta tutela del diritto al mantenimento dei figli minori - non sia necessaria una prescrizione legislativa che fissi in modo specifico l’età in cui cessi l’obbligo del mantenimento del figlio , perché il limite è già rinvenibile nella maggiore età raggiunta dal figlio, salva la “prova” che il diritto permanga per l’esistenza di un corso di studi o di un percorso formativo in fieri. L’età maggiore, prosegue la Corte, «tanto più quando è matura - perché sia raggiunta, secondo l’id quod plerumque accidit, quell’età in cui si cessa di essere ragazzi e di accettare istruzioni e indicazioni parentali per le proprie scelte di vita, anche minuta e quotidiana, e si diviene uomini e donne - implica l’insussistenza del diritto al mantenimento». In buona sostanza dunque «il diritto al mantenimento» deve trovare «un limite sulla base di un termine, desunto dalla durata ufficiale degli studi e dal tempo mediamente occorrente a un giovane laureato, in una data realtà economica, affinché possa trovare un impiego; salvo che il figlio non provi non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro ambìto per causa a lui non imputabile, ma che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicurargli l’auto-mantenimento». E, quanto al tipo di impiego desiderato, è «dovere del figlio ricercare comunque l’autosufficienza economica, secondo un principio di autoresponsabilità nel contemperare le aspirazioni di lavoro con il concreto mercato del lavoro».

I principi

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©