Comunitario e Internazionale

Militari, un periodo di guardia senza lavoro effettivo può essere retribuito in modo diverso

Nella sentenza, pronunciata in Grande Sezione, la Corte Ue precisa quando l'attività di guardia è esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva 2003/88

di Simona Gatti


La direttiva sull'orario di lavoro in alcuni casi può non valere per le attività esercitate dai militari. Nella sentenza (causa C-742/19 Ministrstvo za obrambo), pronunciata in Grande Sezione, la Corte Ue precisa in particolare quando l'attività di guardia è esclusa dall'ambito di applicazione e lo fa esaminando il caso di un sottufficiale dell'esercito sloveno che per diversi mesi ha prestato un «servizio di guardia» ininterrotto di sette giorni al mese.

Durante questa attività svolgeva una sorveglianza effettiva alternata a periodi durante i quali era solo a disposizione dei suoi superiori, rimanendo raggiungibile e presente in caserma. Considerando che, per ciascuno di tali giorni di «servizio di guardia», otto ore soltanto rappresentassero orario di lavoro, il ministero della Difesa ha versato al militare la retribuzione ordinaria corrispondente a tali ore e, per le altre ore, gli ha concesso un'indennità di reperibilità pari al 20% dello stipendio base. Il sottufficiale ha proposto ricorso per ottenere che gli fossero pagate, come ore di lavoro straordinario, le ore durante le quali, nel corso del «servizio di guardia», egli non aveva svolto alcuna attività effettiva.

In tale contesto è stata investita la Corte Ue sull'applicabilità della direttiva 2003/88 , che fissa prescrizioni minime concernenti, in particolare, la durata dell'orario di lavoro, all'attività di guardia svolta da un militare in tempo di pace e se il periodo di guardia durante il quale il militare è tenuto a rimanere nella caserma cui è assegnato, ma non vi svolge un lavoro effettivo, debba essere considerato come orario di lavoro, ai sensi dell'articolo 2 di tale direttiva.

Il giudizio della Corte
Per quanto riguarda le attività svolte dai militari, per la Corte quelle connesse a servizi di amministrazione, di manutenzione, di riparazione, di sanità, di mantenimento dell'ordine o di repressione dei reati non presentano, in quanto tali, particolarità che si oppongano a qualsiasi pianificazione dell'orario di lavoro rispettosa dei requisiti imposti dalla direttiva 2003/88, almeno fintantoché tali attività non siano esercitate nell'ambito di un'operazione militare o nel corso della sua preparazione immediata. Di conseguenza, la stessa direttiva non si applica alle attività di guardia dei militari, quando queste sono svolte nell'ambito della loro formazione iniziale, di un addestramento operativo o, ancora, nell'ambito di operazioni che implicano un impegno militare delle forze armate, indipendentemente dal fatto che queste si svolgano, in modo permanente od occasionale, all'interno delle frontiere dello Stato membro interessato o all'esterno di queste ultime. Inoltre, è altrettanto inapplicabile alle attività militari che sono particolari a tal punto da non prestarsi a un sistema di avvicendamento degli organici che consenta di garantire il rispetto delle esigenze di detta direttiva.

Per la Corte quindi spetta al giudice del rinvio determinare se l'attività di guardia svolta dal sottufficiale rientra o meno in una di tali ipotesi, in caso negativo, dovrà essere applicata la direttiva 2003/88. Se così fosse, un periodo di guardia imposto a un militare che comporta la sua presenza continua sul luogo di lavoro deve essere considerato orario di lavoro, se il posto dove lavora non coincide con il suo domicilio. Ma, poiché la modalità di retribuzione dei lavoratori per i periodi di guardia rientra nel diritto nazionale e non nella direttiva 2003/88, quest'ultima non vieta che un periodo di guardia nel corso del quale un militare è tenuto a rimanere all'interno della caserma, senza svolgere un lavoro effettivo, sia retribuito in modo diverso da un periodo di guardia durante il quale egli effettua prestazioni di lavoro effettivo.

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