Plusvalenze dei titoli esteri acquisiti per successione, il parere delle Entrate
Il riconoscimento di un minore costo fiscale sui titoli esteri acquistati per successione in funzione della residenza del de cuius vìola il diritto comunitario – Commento alla risposta ad interpello n. 675/202
Con la risposta ad istanza di interpello n. 675/2021 l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che per i titoli azionari e obbligazionari, acquisiti per successione dal de cuius residente all'estero ed ivi dallo stesso detenuti, il costo fiscalmente riconosciuto ai fini della determinazione della plusvalenza deve individuarsi nel costo sostenuto dal de cuius per l'acquisto di tali titoli.
In particolare, l'istanza di interpello ha per oggetto il trattamento da riservare ai fini dell'imposizione sulle plusvalenze dei titoli emessi da società estere e depositati all'estero da un non residente che li trasferisce mortis causa ad un soggetto residente, e cioè beni che non scontano l'imposta di successione per mancanza del presupposto di territorialità. Il contribuente istante ha prospettato di ritenere che il costo fiscale dovesse individuarsi nel loro valore normale al momento di apertura della successione ai sensi del comma 6 dell'art. 68 del TUIR, laddove prevede che "nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato ai fini dell'imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione".
In particolare, secondo la prospettazione fornita dal contribuente istante, il criterio del valore normale alla data di apertura della successione troverebbe applicazione "in tutti i casi in cui …i titoli ereditati non abbiano scontato l'imposta di successione in Italia, a prescindere dalle ragioni sottese al mancato assoggettamento al tributo" e dunque anche per stabilire il valore fiscale dei titoli esteri ereditati.
La soluzione interpretativa proposta dal contribuente non è stata tuttavia accolta dall'Agenzia delle Entrate in quanto quest'ultima ha ritenuto che il costo fiscalmente riconosciuto ai fini della determinazione delle plusvalenze da cessione a titolo oneroso coincida con il costo sostenuto dal de cuius per l'acquisto del bene localizzato all'estero caduto in successione, negando dunque l'applicabilità della disposizione recata dal comma 6 dell'art. 68 del TUIR.
In particolare, dopo aver premesso che "ai sensi dell'articolo 68, comma 6, del TUIR, «le plusvalenze indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter) dell'articolo 67 sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma e il valore normale dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente la loro produzione, compresa l'imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi", che "nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell'imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione" e che "l'articolo 2 individua i beni con riferimento ai quali l'imposta di successione non si applica per carenza del presupposto territoriale, mentre i successivi articoli 3, 12 e 13 i beni che, invece, rientrerebbero nel campo di applicazione dell'imposta ma che sono ritenuti dal legislatore agevolabili e quindi "esenti" dall'imposta, l'Agenzia delle Entrate ha affermato che "nel caso di partecipazioni che non sono state assoggettate all'imposta sulle successioni per mancanza del presupposto di territorialità (come nel caso in esame) in linea con quanto precisato nella circolare 18 ottobre 2001, n. 91/E, non è possibile applicare un criterio di valorizzazione dei titoli previsto nei casi di esenzione dall'imposta".
Pertanto, "in caso di acquisto per successione delle partecipazioni e dei titoli di cui alle lettere c), c-bis) e c-ter) del comma 1 dell'articolo 67 del Tuir, non potendosi più applicare la disposizione contenuta nel successivo articolo 68, comma 6 laddove è stabilito che «si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell'imposta di successione", si deve assumere come "costo" il "costo sostenuto" dal "de cuius" e "ciò in quanto il mancato assoggettamento all'imposta sulle successioni fa venir meno il presupposto per consentire una "rivalutazione" della partecipazione ereditata".
In sintesi, dunque, secondo l'Agenzia delle Entrate il mancato assoggettamento all'imposta di successione italiana dei titoli esteri per carenza del presupposto di territorialità impedirebbe di riconoscere il valore normale dei titoli al momento di apertura della successione quale costo fiscale.
Ciò in quanto l'esclusione territoriale impedirebbe di dare rilevanza al fatto che i beni ricompresi nell'asse ereditario siano poi soggetti all'imposta italiana o meno in forza delle "esenzioni" – non è questa la sede per approfondire funditus tale concetto – previste dagli artt. 3, 12 e 13 del d.lgs. n. 346/1990, e tuttavia l'operatività di tali fattispecie, secondo la lettura desumibile dalla risposta in commento, sarebbe appunto subordinata all'integrazione del presupposto territoriale.
In tal senso depone la parte in cui l'Agenzia delle Entrate specifica che "l'articolo 2 individua i beni con riferimento ai quali l'imposta di successione non si applica per carenza del presupposto territoriale, mentre i successivi articoli 3, 12 e 13 i beni che, invece, rientrerebbero nel campo di applicazione dell'imposta ma che sono ritenuti dal legislatore agevolabili e quindi "esenti" dall'imposta".
La conclusione rassegnata dall'Agenzia delle Entrate, prevedendo un trattamento fiscale differenziato, per il solo fatto che il de cuius risiedesse all'estero all'apertura della successione rispetto a quello riservato a soggetti residenti, e deteriore, laddove nega il riconoscimento del maggior valore fiscale accordato alle medesime successioni con de cuius residente, appare in contrasto con il principio di libertà dei capitali e pagamenti.
Ed infatti, le successioni, consistenti in una trasmissione a una o più persone del patrimonio lasciato da una persona deceduta, rientrano nell'ambito di applicazione della sezione XI dell'allegato I della direttiva 88/361, intitolata «Movimenti di capitali a carattere personale» e costituiscono movimenti di capitali ai sensi dell'articolo 63 TFUE (v., in particolare, sentenze dell'11 settembre 2008, Eckelkamp e a., C11/07, Racc. pag. I6845, punto 39, e Arens-Sikken, C43/07, Racc. pag. I6887, punto 30, nonché del 15 ottobre 2009, Busley e Cibrian Fernandez, C35/08, Racc. pag. I9807, punto 18, e del 10 febbraio 2011, Missionswerk Werner Heukelbach, C25/10, Racc. pag. I-497, punto 16).
In particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha ritenuto che misure fiscali in forza delle quali una successione che include beni situati in altro Stato membro è soggetta ad un'imposta più elevata rispetto a quella che sarebbe dovuta ove i beni fossero situati soltanto nello stato membro che tassa implica una restrizione dei movimenti di capitale tale da dissuadere l'acquisto di beni all'estero (v., in tal senso, sentenza 11 dicembre 2003, causa C364/01, Barbier. punto 62; 17 gennaio 2008, causa C- 256/06, Jäger, punto 32; 17 ottobre 2013, C-181/12, Welte, punti 25, 26 e 53).
Una misura del genere si considera restrittiva anche laddove riguardi l'applicazione, invece che dell'imposta di successione, dell'imposta sui redditi laddove la determinazione di tale imposta rifletta una successione che comprende beni situati in uno Stato membro diverso da quello che tassa (per analogia, sentenza 15 ottobre 2009, causa C-35/08, Busley, punti 24, 25 e 30). Né sembra che possa essere giustificata una simile restrizione in considerazione del fatto che il de cuius risiedesse all'estero, posto che, sempre secondo la Corte di Giustizia, la normativa di uno Stato membro, che fa dipendere l'applicazione di un'esenzione dall'imposta di successione dal luogo di residenza del de cuius o del beneficiario al momento del decesso, qualora comporti che le successioni che coinvolgono soggetti non residenti siano assoggettate ad un onere fiscale maggiore di quelle che coinvolgono soltanto soggetti residenti, configura una restrizione alla libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2014, Commissione/Spagna, C127/12, punto 58).
Peraltro, pur volendo concordare con la tesi dell'Agenzia delle Entrate nel senso che il più favorevole riconoscimento del valore normale ai fini della determinazione delle plusvalenze nei casi in cui siano devolute aziende o partecipazioni esenti ai sensi del comma 4-ter dell'art. 3 del d.lgs. n. 346/1990, ovvero titoli di stato che non si considerano ricompresi nell'attivo ereditario ai sensi delle lett. h) e i) del successivo art. 12, comma 1, di tale medesimo d.lgs., non può essere esteso a quei beni che non scontano l'imposta di successione in Italia per carenza del presupposto territoriale – il che appare comunque dubitabile ad avviso di chi scrive alla luce di quanto sopra rilevato – è chiaro come un'interpretazione generalizzata del principio che ne viene derivato nella risposta in commento secondo cui "il mancato assoggettamento all'imposta sulle successioni fa venir meno il presupposto per consentire una "rivalutazione" della partecipazione ereditata" comporterebbe un'illegittima disparità di trattamento del beneficiario italiano della successione estera in virtù della mera residenza del de cuius proprio nei casi in cui formano oggetto di devoluzione aziende, partecipazioni e titoli di stato comunitari. (1)
E' evidente, infatti, che il mancato riconoscimento del valore normale determina un ostacolo all'investimento rispetto al caso del de cuius residente in Italia titolare di tali medesimi beni che sono territorialmente rilevanti ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 346/1990, ma "esenti" da imposta di successione, posto che la prassi (con riferimento alle aziende e partecipazioni di cui al comma 4-ter localizzate in stati comunitari) e la stessa lettera della legge (con riferimento ai titoli di stato comunitari) riconoscono espressamente la non applicazione dell'imposta, e che dunque, a fortiori, sarebbero assunti per un costo fiscale pari al valore normale all'apertura della successione agli effetti della determinazione delle plusvalenze di cui all'art. 67 del TUIR in caso di successiva cessione a titolo oneroso, mentre il beneficiario residente dei medesimi beni ricevuti da un de cuius non residente si vedrebbe applicare le imposte sui redditi sull'intero importo incassato.
_____
(1) Naturalmente, se l'eredità riguarda aziende o partecipazioni totalitarie, viene violata la libertà di stabilimento, come tale invocabile solo se il de cuius era residente nell'Unione Europea (cfr. sentenza 19/07/2012, C-31/11, Scheunemann, secondo cui in caso alla partecipazione totalitaria del de cuius si applicano le norme sulla libertà di stabilimento e dunque non possono essere invocate ad investimenti in stati terzi), mentre se l'eredità riguarda partecipazioni che non danno diritto ad influenzare le scelte della società partecipata si applica la libertà di capitali, come tale invocabile anche in caso de cuius residente in paese extra-UE.
*A cura di Giordano Merolle – Studio Legale Tributario – gm.tax