Reddito d’impresa e sentenze favorevoli: la Cassazione fissa il momento d’imposizione delle sopravvenienze attive
Commento a Corte di Cassazione, Sezione V Civile, Ordinanza 20 maggio 2025, n. 13361
La pronuncia in esame – Corte di Cassazione, Sezione V Civile, Ordinanza 20 maggio 2025, n. 13361, si inserisce nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità che, con rigoroso approccio sistematico, si occupa di delineare i confini applicativi del concetto di “sopravvenienza attiva” nel contesto della determinazione del reddito d’impresa. La questione affrontata attiene alla corretta collocazione temporale – ai fini fiscali – di una sopravvenienza attiva derivante da un provvedimento giurisdizionale favorevole al contribuente, con particolare riguardo all’idoneità di tale provvedimento a generare effetti impositivi anche prima della sua definitività.
Nel caso concreto, il contenzioso prende le mosse da un accertamento “a catena”, scaturito da una ripresa a tassazione effettuata nei confronti di una società di persone, a sua volta partecipata da altre società e, indirettamente, da soci persone fisiche. Il cuore della controversia si incentra sulla mancata dichiarazione, da parte della società-madre, di componenti positive di reddito derivanti dal venir meno di un debito bancario, ritenuto successivamente nullo per la natura anatocistica degli interessi applicati. Il riconoscimento giudiziale del relativo credito ha portato alla restituzione di somme da parte dell’istituto bancario, determinando così un evento sopravvenuto, idoneo – secondo l’Amministrazione finanziaria – a incrementare il reddito imponibile.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi, dunque, sul momento in cui tale evento deve considerarsi fiscalmente rilevante. Il dato fattuale indiscusso è cheil credito è stato riconosciuto giudizialmente con una sentenza di secondo grado, non impugnata, e dunque divenuta definitiva l’anno successivo al suo deposito. La tesi del contribuente, accolta nei gradi di merito, sosteneva la necessità di riferire la tassazione al momento in cui la decisione era divenuta definitiva. L’Amministrazione, di contro, riteneva sufficiente il deposito della sentenza, momento in cui la componente attiva sarebbe divenuta certa e obiettivamente determinabile.
La Suprema Corte, con un’argomentazione che si distingue per chiarezza e coerenza logico-sistematica, ha sposato l’impostazione dell’ente impositore, sottolineando come – nel contesto del reddito d’impresa – la rilevanza fiscale delle sopravvenienze attive prescinda dalla definitività del provvedimento che le origina. Secondo i giudici di legittimità, infatti, è già con il deposito della decisione che la posta attiva acquisisce il requisito della certezza, potendo da quel momento considerarsi esistente e obiettivamente quantificabile. La Corte, tuttavia, ha introdotto un’importante clausola correttiva: la sentenza deve essere astrattamente idonea a produrre effetti esecutivi, ossia non dev’essere soggetta a sospensione cautelare. In assenza di una tale sospensione, la sopravvenienza assume rilevanza reddituale già nell’esercizio in cui la pronuncia è stata pubblicata, anche qualora non sia ancora definitiva.
Si tratta di una soluzione che valorizza la dimensione economica e gestionale dell’imposizione sul reddito d’impresa, in linea con i principi dell’ordinamento contabile e tributario, i quali presuppongono un legame dinamico tra la rappresentazione del fatto gestionale e la sua rilevanza fiscale. Il concetto di “certezza”, in tale contesto, assume un significato eminentemente tecnico-contabile, e non giuridico-formale, venendo definito in funzione della possibilità per l’impresa di inserire quella posta attiva tra le componenti reddituali dell’esercizio corrente, nel rispetto dei principi di competenza economica.
Ulteriore elemento degno di nota è rappresentato dal richiamo implicito ai meccanismi di garanzia posti a presidio dell’equilibrio del sistema: qualora, infatti, l’eventuale riforma della decisione comporti il venir meno della sopravvenienza attiva in precedenza imputata, il contribuente potrà far valere una sopravvenienza passiva compensativa negli esercizi successivi, realizzando così un bilanciamento a posteriori che impedisce fenomeni di doppia imposizione o di arbitraria penalizzazione.
La pronuncia oggetto di analisi contribuisce a chiarire, sotto il profilo sistemico, la portata del principio di competenza nell’ambito del reddito d’impresa, offrendo una lettura evolutiva e sostanzialista del concetto di “sopravvenienza attiva”. L’elemento qualificante non è tanto la definitività dell’accertamento giurisdizionale, quanto la sua attitudine, fin dal deposito, a produrre effetti giuridico-economici nella sfera patrimoniale del contribuente, purché non ostacolati da provvedimenti sospensivi.
La posizione assunta dalla Corte appare coerente con una visione aziendalistica del diritto tributario, secondo cui il reddito imponibile deve riflettere, con la massima aderenza possibile, l’effettivo risultato economico dell’impresa, evitando nel contempo di vincolare l’Amministrazione fiscale a una logica processuale inappropriata rispetto alla realtà gestionale.
In prospettiva, il principio enucleato potrà fungere da riferimento per ulteriori ipotesi in cui la componente reddituale derivi da eventi giurisdizionali, contribuendo alla certezza del diritto e alla coerenza interpretativa della normativa tributaria in materia di imposte dirette.
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*Angelo Ruggiero, commercialista ODCEC di Cassino e revisore legale, esperto scientifico di diritto ed economia dei tributi, esperto del MUR, docente alla SSM, coordinatore scientifico FSU