Trust: nessun diritto all’apertura del conto corrente
Nota a Tribunale Ordinario di Trapani, Sezione Civile, provvedimento del 29 marzo 2025
La vicenda sottoposta all’esame del Tribunale Ordinario di Trapani, Sezione Civile, nell’ambito del procedimento instaurato ex art. 700 c.p.c., che ha portato all’emissione di un’ordinanza lo scorso 29 marzo, è la seguente. Un trustee, nella propria qualità di trustee di un trust avente quale finalità la prudente gestione del patrimonio familiare precedentemente facente capo alla famiglia del disponente, chiedeva ad un Istituto Bancario l’apertura di un conto corrente intestato al trust. Non ricevendo alcuna risposta, il trustee, in un primo momento effettuava una segnalazione alla Banca d’Italia - che si dichiarava non competente ad intervenire -, per poi depositare ricorso all’Ufficio sopra indicato affinché quest’ultimo ordinasse, in via d’urgenza, l’apertura del rapporto di conto corrente.
In particolare, la ricorrente lamentava la mancanza di riscontro da parte della Banca, circostanza che costringeva il trustee a gestire pagamenti e incassi legati alla gestione dei beni facenti parte del Fondo in trust per mezzo del proprio conto personale. Dal provvedimento in analisi non è dato sapersi da quale Legge regolatrice fosse retto il trust in questione. Tuttavia, il trustee, a supporto della propria richiesta, sosteneva:
1) che il fumus boni iuris sussistesse in ragione dell’abusività del diniego all’apertura del conto corrente (tra l’altro, come anticipato, tacitamente opposto dalla Banca). A sostegno della tesi veniva richiamato un filone giurisprudenziale formatosi in tema di sindacato giudiziale sul recesso unilaterale esercitato dalla Banca con riferimento ai rapporti di conto corrente. Veniva segnalata, inoltre, l’insussistenza di motivi giustificativi del rifiuto a contrarre, tanto più che lo Strumento il cui conto corrente si chiedeva l’apertura era volto alla tutela del patrimonio di famiglia e delle persone che la compongono. Ad avviso della ricorrente, il comportamento posto in essere dall’Istituto Bancario integrava anche una violazione dei doveri di buona fede e correttezza in fase precontrattuale;
2) l’esistenza del periculum in mora, in quanto l’attività tipica del soggetto che ricopre l’Ufficio di trustee non può prescindere, né sul piano operativo né su quello legale, dall’utilizzo di un conto corrente dedicato al singolo trust.
L’Istituto Bancario, di contro, riteneva non sussistente un obbligo normativo che imponesse all’intermediario di procedere all’apertura del rapporto di conto corrente. La Banca, inoltre, precisava come la ragione sottesa al diniego fosse legata a ragioni afferenti alla “reputazione e affidabilità delle persone fisiche e giuridiche coinvolte nell’istituzione” del trust.
Esaminate le tesi sostenute da entrambe le parti, l’Organo giudicante ha ritenuto che:
- i principi espressi dalla giurisprudenza in materia di sindacato giudiziale sul recesso unilaterale, richiamati dal trustee, non possono essere estesi al caso in cui un Istituto Bancario rifiuti di aprire un conto corrente. La ragione principale di quanto visto risiede nel fatto che, a differenza della fattispecie oggetto di analisi, in materia di diritto di recesso si è in presenza di un rapporto negoziale già sorto;
- il diniego all’apertura del conto corrente può, al più, essere valutato dal punto di vista dei doveri di correttezza e buona fede che le parti devono tenere nella fase precontrattuale. Parliamo, tuttavia, di regole di comportamento, dalla cui eventuale violazione (sempre ammesso che in concreto sussista) non discendono rimedi reali - che permetterebbero un’apertura coattiva del rapporto - ma, nel caso, solamente risarcitori. A tal proposito, pare opportuno ricordare come i principi di buona fede e correttezza si traducano, in fase di apertura del conto corrente, nell’onere della Banca di valutare attentamente ogni richiesta ricevuta. Lungi dal tradursi in una possibilità di diniego senza motivazione, l’Istituto può - o meglio, deve - ponderare attentamente la situazione del cliente, l’attività economica e la capacità finanziaria dello stesso, anche in relazione alla normativa antiriciclaggio;
- non si rinviene alcun obbligo di tracciabilità delle transazioni poste in essere da un trustee nell’ambito della gestione della liquidità presente nel Fondo in trust (onere che, invece, il legislatore prevede - per esempio - in materia di “compro-oro”). Secondo il Tribunale, inoltre, la parte ricorrente non ha indicato alcun estremo legislativo che possa confutare l’assunto di cui si è appena dato atto, ben potendo comunque il trustee aprire personalmente un conto corrente, a proprio nome, destinato alla gestione ad hoc del singolo trust. Ricorrendo tale ultima ipotesi, la tenuta di una chiara e puntuale contabilità dei movimenti, corredata dai giustificativi del caso, garantirebbe al trustee di agire in maniera compliant anche rispetto alla normativa AML;
- non sussiste alcun obbligo generale di contrarre in capo alla Banca. Tale principio lo si può agevolmente desumere dalla libertà di iniziativa economica, costituzionalmente riconosciuta. Tanto più che il nostro Legislatore, per mezzo dell’art. 2597 del c.c., ha previsto un espresso obbligo di contratte esclusivamente nei confronti di soggetti che esercitino la propria attività in condizione di monopolio legale.
All’esito del ragionamento appena ricostruito, il Tribunale di Trapani ha sottolineato come non sussista alcun diritto all’apertura di un conto corrente, nemmeno nel caso in cui venga in rilievo un trust (rectius trustee nella propria qualità di trustee del trust). Nel corpo del provvedimento si legge, infatti, la seguente conclusione: “Deve escludersi che […] possa essere riconosciuto il diritto all’apertura di un conto corrente intestato al trust”.
Al di là di possibili rilievi che potrebbero essere effettuati con riferimento all’opportunità/obbligatorietà di procedere all’apertura di un conto corrente intestato al trust (rappresentato dal suo trustee, per esigenze operative, pur in assenza di un rapporto di rappresentanza in senso tecnico) o al suo trustee, quale trustee del trust, e ai conseguenti profili di responsabilità, si ritiene doveroso soffermarsi sui soli elementi oggettivamente desumibili dal testo del provvedimento giudiziale:
- il trustee è una persona fisica;
- il disponente è il marito del trustee;
- finalità del trust è la prudente gestione e conservazione del patrimonio familiare;
- i beneficiari sono i figli della coppia.
Non vi sono informazioni sull’Ufficio di guardiano. Del testo del regolamento e dell’intervento (plausibile) del consulente che ha collaborato alla redazione dell’atto istitutivo non v’è traccia alcuna.
Possiamo limitarci ad inquadrare la fattispecie come quella di un trust a base “familiare”.
Con riferimento alla figura del trustee, come sopra anticipato, manca un’indicazione circa la natura professionale o meno dello stesso; trattandosi del coniuge del disponente, tuttavia, siamo in presenza verosimilmente di un trustee di “stampo familiare”. Vero è che qualunque persona fisica o giuridica può assumere il ruolo di trustee. Altrettanto vero è che, indipendentemente dalla propria natura (professionale o meno), in capo al trustee ricadono preliminari obblighi di verifica circa la capacità di assunzione dell’incarico, sia in generale che in riferimento alla natura dei beni che vengono apportati, rilevando la natura del trustee (professionale o meno) sotto l’aspetto del grado di diligenza richiesto. Non pare il caso di ampliare l’orizzonte agli obblighi previsti dalle Leggi regolatrici in capo al trustee (e, comunque, parzialmente derogabili) per quanto riguarda l’attività ordinariamente condotta in occasione della gestione del Fondo in trust (osservanza di quanto statuito nell’atto istitutivo, dovere di neutralità evitando qualsiasi forma di indebito favoritismo nei confronti dei beneficiari, obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi, conservazione dell’integrità del fondo, tutela degli interessi di informativa spettanti ai beneficiari, obbligo di rendicontazione, ecc.). Profili, tutti questi, che, è bene sottolinearlo, rilevano in sede di sindacato circa il corretto operato del trustee (che potrebbero condurre a una c.d. breach of trust) e che, di principio, non dovrebbero, se non in casi estremi (es. assenza di poteri o nullità), coinvolgere i soggetti che legittimamente hanno contratto con il trustee, intermediari finanziari inclusi.
Sono, poi, numerose, le previsioni legislative vigenti in ambito nazionale, spesso di matrice europea, che trovano applicazione anche in materia di obblighi/doveri che incombono sul trustee nella conduzione della propria attività. In questa sede merita un cenno la normativa antiriciclaggio, così come “integrata”, per esempio, dal provvedimento UIF del 12 maggio 2023. Possiamo immaginare, forse erroneamente, che sia proprio quest’ultimo aspetto ad aver comportato il diniego all’apertura del rapporto di conto corrente (sintomatici sono, peraltro, il passaggio del provvedimento dove il Tribunale adito riconosce la possibilità per il trustee di “rispettare la tracciabilità dei pagamenti ai fini della normativa antiriciclaggio […] destinando un conto corrente a proprio nome, unicamente alla gestione del trust e, contestualmente, tenendo apposita e chiara contabilità dei movimenti, corredata da tutti i documenti giustificativi delle operazioni di entrata ed uscita di somme” e il riferimento alla “reputazione e affidabilità delle persone fisiche e giuridiche coinvolte nell’istituzione”).
Astraendoci, alla luce delle scarse informazioni disponibili, dalla vicenda in concreto, possiamo limitarci a suggerire che per ridurre i rischi pratico-operativi, come per esempio quelli legati all’apertura di un conto corrente, è sicuramente consigliabile rivolgersi, sia in fase di istituzione che di gestione del Fondo, a interlocutori qualificati e altamente specializzati, i quali possano redigere il regolamento del trust - a partire dalle premesse (che aiutano a delineare la causa concreta del negozio giuridico) - in maniera organica, chiara e lineare. Un atto ben scritto e bilanciato, che non si perda nei meandri di dinamiche e meccanismi, talvolta non coordinati tra loro e/o al limite della validità, può ridurre il rischio che l’intermediario possa eccepire ragioni ostative all’apertura del conto corrente.
Per quanto riguarda la gestione, poi, non si può non rilevare come interlocutori professionali, che possano vantare un’esperienza pregressa significativa, siano in grado di gestire in maniera adeguata il Fondo in trust e i relativi adempimenti connessi e, per l’effetto, affrontare al meglio determinate situazioni. Tali accorgimenti, complessivamente adottati, possono fare la differenza tra l’apertura di un conto corrente e un diniego, ma non solo.
Del resto, l’evoluzione normativa impone un livello sempre crescente di professionalità; basti pensare, a titolo di esempio, alla VI Direttiva antiriciclaggio (che gli Stati membri dovranno recepire, ad eccezione di alcuni aspetti, entro il 10 luglio 2027), nella parte in cui si prevede che “i supervisori dovrebbero assicurarsi che le persone che gestiscono effettivamente attività di […] prestatori di servizi relativi a […] trust e i loro titolari effettivi […] soddisfino requisiti di onorabilità e agiscano con onestà e integrità e dispongano delle conoscenze necessarie per svolgere le loro funzioni”, nonché che gli Stati membri devono provvedere “affinché […] i prestatori di servizi relativi a […] trust, dispongano di una licenza o siano registrati”.