Praticanti avvocati, danni morali da risarcire per la calunnia del dominus
Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 25311/2021, confermando la condanna del legale
Il legale che si difende dall'accusa di aver falsificato una sentenza dandone la colpa ai praticanti avvocati dello studio deve risarcirne i danni morali. Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. n. 25311/2021, sottolineando, come già prima aveva fatto la Corte di appello, la "sofferenza psichica delle persone costituitesi parti civili" e cioè "collaboratori di studio, tra cui praticanti avvocati, attinti, ad avvio di carriera", da una accusa "particolarmente odiosa ed infamante per chi opera professionalmente in ambito forense".
Respinto dunque il ricorso del legale condannato dalla Corte territoriale milanese, nell'ottobre del 2020, per aver formato una falsa sentenza "per fare apparire adempiuto il mandato", e recuperare un credito, e "per aver calunniosamente accusato i suoi ex collaboratori di studio" indicati come i soggetti responsabili della contraffazione. Fatti avvenuti dopo che il cliente lo aveva trascinato con un esposto davanti al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Milano.
Numerose le doglianze proposte dal ricorrente, tutte però bocciate dalla VI Sezione penale che ricorda come la Corte di appello abbia considerato che, seppure contraffatta, la falsa copia della sentenza, "riproducente la firma del giudice e del cancelliere", "era stata accreditata come vera dalla stessa ricorrente, producendola all'Ordine degli Avvocati di Milano, in occasione del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti". Ragion per cui, prosegue la decisione, "non irragionevolmente la sentenza impugnata assume che si sia trattato di una copia con l'apparenza di un atto originale".
Né poteva dirsi scaduto il termine della prescrizione in quanto il 10 ottobre 2009 "è soltanto la data (fittizia) apposta sul documento falsificato". Mentre, non irragionevolmente, la Corte di appello ha osservato che, in assenza di elementi certi, "la contraffazione va collocata nel momento in cui l'atto falso è stato presentato dall'agente a altre persone e questo è avvenuto il 21 maggio 2014, quando il documento fu prodotto all'Ordine degli Avvocati di Milano".
Inoltre, argomenta la sentenza, l'accusa riportata nella memoria depositata all'Ordine il 15 luglio 2014: «solo un mio collaboratore può avere effettuato una simile contraffazione di cui io stessa non mi sono mai accorta», non si presta, contrariamente a quanto sostiene il legale, ad ambiguità. "Si tratta - afferma la Cassazione - di una accusa nei confronti dei suoi collaboratori, nominativamente indicati, e la consapevolezza dell'innocenza degli incolpati deriva dall'essere ella stessa l'autrice della falsificazione". Né conta che gli accusati siano stati sentiti in sede di sommarie informazioni testimoniali, "perché per la configurabilità del reato di calunnia non è necessario l'inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, ma basta che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile".
Infine, con riferimento al quantum, la Suprema corte afferma che la liquidazione dei danni morali, "mancando componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione, non può che avvenire in via equitativa, e l'obbligo di motivazione è adempiuto con l'indicazione dei fatti materiali considerati e del percorso logico a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente mediante quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento". E come visto, il giudice di merito "non ha mancato di indicare i canoni di valutazione evidenziando la sofferenza psichica delle persone costituitesi parti civili", tutti collaboratori e praticanti avvocati, per una accusa particolarmente grave per chi opera in ambito giuridico.