Penale

Processo penale: testa da risentire in appello anche in caso di assoluzione

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di Patrizia Maciocchi

Il giudice di appello per assolvere l’imputato condannato in primo grado deve ascoltare di nuovo la testimonianza della persona offesa, considerata decisiva in primo grado. La Corte di cassazione, con la sentenza 41571 depositata ieri, afferma l’obbligo di rinnovare l’istruttoria dibattimentale non solo nel caso in cui si passi dall’assoluzione alla condanna, ma anche quando avviene l’inverso. Una tutela nei confronti della parte lesa imposta - sottolineano i giudici della seconda sezione penale - non solo dall’articolo 6 della Cedu sull’equo processo ma anche dal nuovo codice di procedura penale (legge 103\2017).

La Suprema corte si era recentemente attivata per allineare la sua giurisprudenza ai principi dettati da Strasburgo.

La Cedu con una serie di pronunce aveva affermato l’obbligo di rinnovare l’istruzione o di ascoltare di nuovo i testi, nel caso il giudice di appello, consideri - diversamente dal “collega” di primo grado - attendibili le dichiarazioni dell’accusa limitandosi però solo a leggere senza ascoltare di nuovo i testi chiave. La Cassazione si è conformata affermando che l’articolo 603 del Codice di procedura penale, in una lettura “convenzionalmente orientata” impone di rinnovare l’istruttoria dibattimentale per riascoltare i testimoni decisivi in primo grado «nel caso in cui la Corte d’Appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione dell’imputato».

Sul tema sono intervenute le Sezioni unite (sentenza 27620/2016 e 18620/2017) per affermare sia la rilevabilità d’ufficio della violazione sia l’estensione del principio al giudizio abbreviato. Con la sentenza di ieri la Cassazione fa un passo in più affermando la necessità di usare lo stesso criterio anche in caso di assoluzione in appello, in considerazione del principio di fondo dell’equo processo contenuto nelle sentenze Cedu e dei recenti interventi normativi in attuazione della direttiva 2012\29\Ue su diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (Dlgs 212/2015) seguito dalla legge 103/2017 che modificato il codice penale e di rito.

Il legislatore - spiegano i giudici - ha così ridefinito il volto del processo ridisegnandolo in un’inedita veste “triadica”, nel quale la vittima del reato è una figura processuale con ampio diritto di partecipare e di conoscere gli sviluppi futuri del procedimento. E la testimonianza è certamente una forma di partecipazione della persona offesa al processo penale che ha il duplice scopo di consentire alla “vittima” del reato di servirsi del processo per ottenere giustizia e di realizzare l’interesse pubblico all’accertamento della verità. In sede di redazione del nuovo codice di rito - proprio per non sacrificare la ricerca della verità - è stato accantonato il dubbio sull’incompatibilità della persona offesa costituita parte civile a testimoniare, in quanto portatrice di un interesse personale.

I giudici precisano che il dovere del giudice di riascoltare il teste «vale tuttavia solo nei casi in cui si possa effettivamente parlare di differente valutazione della prova dichiarativa: non perciò quando emerga che la lettura della prova sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione».

L’adempimento dell’obbligo di rinnovare l’istruttoria dibattimentale per assumere di nuovo la prova decisiva non deve tuttavia - avverte la Suprema corte - indurre il giudice a pensare che non sia necessaria una sentenza con motivazione rafforzata. La Cassazione controllerà attentamente le ragioni che giustificano la riforma del provvedimento impugnato.

Corte di cassazione – Sezione II – Sentenza 12 settembre 2017 n.41571

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