Famiglia

Profughi ucraini minorenni, niente tutore se è presente un adulto di riferimento

Tra i «familiari» rientrano le persone con cui esiste un rapporto significativo

di Camilla Vitali

I minorenni che arrivano in Italia con parenti o con altri adulti con cui hanno un legame significativo idonei a prendersene cura, o che sono da questi accolti, non vanno automaticamente considerati come minori stranieri non accompagnati con conseguente inserimento in strutture di accoglienza e nomina del tutore. Lo stabilisce il Tribunale per i minorenni di Bolzano che, con decreto del 6 aprile scorso, ha respinto le richieste in tal senso svolte dalla Procura che aveva considerato sette minorenni, in fuga dall’Ucraina assieme alla responsabile della struttura dove vivevano, come “non accompagnati”.

Il provvedimento chiarisce infatti che «l’assenza dei genitori non si traduce automaticamente nella necessità di apprestare misure di accoglienza ai sensi dell’articolo 19» del decreto legislativo 142/2015, che anzi prevede, se si individuano familiari idonei a prendersi cura dei minori, di preferire questa soluzione rispetto al collocamento in comunità.

È rilevante a questo fine il concetto di “familiare”, che va inteso in senso lato, sino a comprendere persone meramente conviventi con cui il minore ha un rapporto significativo, richiedendo l’accertamento «di uno stretto vincolo di convivenza o comunque di un rapporto affettivo assimilabile di fatto a un rapporto di parentela».

Nel caso esaminato dal Tribunale per i minorenni di Bolzano, il legame familiare è dimostrato già dagli accertamenti in fatto, poiché da vari elementi, evidenti sin dalla loro prima identificazione e confermati da quanto emerso nell’osservazione dei giorni successivi, i minori sono apparsi «strettamente legati» alla signora responsabile della struttura dove vivevano, «condividendo con la stessa una naturalezza di rapporti di tipo familiare» e «spaventati alla prospettiva di dover essere separati».

Lo conferma poi anche la documentazione allegata; in particolare la lettera del Consolato generale d’Ucraina in Italia e la comunicazione del ministero della Giustizia dell’Ucraina, intervenuti sulla questione, attestano che i minori prima della fuga vivevano in un orfanotrofio di tipo familiare – ovvero una delle possibili forme di collocamento di bambini privi di cure parentali previste dalla legge ucraina – di cui la signora era responsabile.

La separazione da lei non rappresenta dunque una soluzione tutelante per i minori, già traumatizzati dalle vicende belliche e dallo sradicamento per l’improvvisa fuga, dovendosi evitare loro ulteriori traumi privilegiando la misura che «preserva l’unità dei gruppi che giungano insieme».

Nell’evidenziare la distinzione tra l’esigenza di adottare misure di accoglienza e quella di nominare un tutore, il Tribunale ha poi ritenuto che i sette minorenni fossero già rappresentati a livello legale dalla loro accompagnatrice, sulla scorta delle convenzioni internazionali e della legislazione ucraina. In particolare, la Convenzione dell’Aja del 1996 prevede che «le autorità (...) dello Stato contraente di residenza abituale del minore sono competenti ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni» (articolo 5) e che «le misure adottate dalle autorità di uno Stato contraente sono riconosciute di pieno diritto negli altri Stati contraenti» (articolo 23).

E la normativa ucraina, applicabile al caso esaminato, stabilisce che il responsabile degli istituti per l’infanzia abbia la qualifica di tutore. Non vi è dunque necessità di altra nomina.

Per queste ragioni, il Tribunale ha respinto le richieste di ratificare la misure di accoglienza e di nominare un tutore, disponendo l’affidamento dei minori al servizio sociale perché ne curi le dimissioni dalla comunità e li affidi alla signora sostenendola nell’inserimento temporaneo in Italia e nella loro scolarizzazione.

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