La casa dei suoceri può essere assegnata all’ex se è stata abitata in virtù di comodato familiare
La destinazione del bene di proprietà dei nonni paterni a casa familiare costituisce contratto di comodato familiare che non si scioglie per il venir meno della coabitazione tra i coniugi o per scioglimento del vincolo coniugale
In caso la connotazione di un immobile abitativo quale casa coniugale derivi da un contratto di comodato cosiddetto “familiare” il comodante non può affermare la risoluzione del contratto per l’avvenuta separazione dei coniugi se la destinazione del bene non è venuta meno. La casa può essere infatti oggetto di assegnazione al genitore separato presso cui è collocato il figlio minore o maggiorenne non autosufficiente. E nel caso venga concretamente assegnata il comodante può opporsi alla prosecuzione del rapporto solo se dimostra un urgente bisogno personale di dover tornare in possesso dell’immobile.
Così la Corte di cassazione civile - con la sentenza n. 17095/2025 - ha deciso il rigetto del ricorso della madre comproprietaria col figlio di una porzione dell’immobile destinata per ben 13 anni a casa coniugale durante il matrimonio di quest’ultimo e assegnata alla sua ex nel caso avesse mancato di versare il contributo mensile per il pagamento dell’affitto di un altro appartamento in cui la donna avrebbe vissuto con la figlia minore dopo la separazione e la dichiarazione di divorzio.
La madre inizialmente comproprietaria col marito, poi deceduto, del primo piano della loro villetta abitato dalla famiglia del loro figlio, affermava che una volta intervenuta la separazione tra figlio e nuora ella avesse diritto a ritornare in possesso dell’appartamento essendo venuto a scadenza il termine del comodato familiare per lo scioglimento del vincolo coniugale.
Ma come spiega la Cassazione la destinazione di casa coniugale non viene meno automaticamente a seguito di separazione o divorzio se il bene è ancora destinato a soddisfare le esigenze abitative di uno dei coniugi e in particolare dei figli non ancora autonomi che siano collocati presso il genitore cui venga assegnata la casa coniugale.
Ossia, la crisi coniugale non cancella la casa familiare e quando questa derivi da comodato finalizzato a soddisfar le esigenze abitative della famiglia del comodatario ciò costituisce presupposto contrario all’affermata scadenza del termine del contratto a titolo gratuito.
Nel caso concreto era avvenuto che in sede di separazione il giudice aveva fissato un contributo a carico del figlio della ricorrente (comodante) per il mantenimento della figlia minore e un altro contributo da versare alla ex collocataria della prole per l’affitto di un altro immobile che - se non versato - sarebbe stato sostituito con il diritto di reingresso di madre e figlia in quella era stata casa familiare per ben 13 anni. Ciò escludeva l’argomento della ricorrente secondo cui la donna separata comodataria - unitamente all’ex marito - della casa familiare non avesse più diritto ad abitarvi.
Infine, i giudici fanno rilevare che il carattere familiare dell’abitazione in questione derivava precipuamente dalla circostanza che fosse stata proprio la nipote della ricorrente a indicare come proprio desiderio di tornare a vivere nella porzione di casa di nonni paterni dove aveva convissuto coi genitori per ben 13 anni.