Rinviata al 10 marzo la decisione della Consulta
Sotto esame la consegna dei cittadini non Ue stabiliti legittimamente in Italia
Mentre il decreto legislativo 10 del 2 febbraio 2021, che riforma la legge sul mandato di arresto europeo, stava per essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, il 4 febbraio la Corte costituzionale rinviava al 10 marzo la decisione su una delicata questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 18-bis della legge 69/2005, sollevata dalla sesta sezione della Corte di Cassazione il 4 febbraio dell’anno scorso.
Si tratta della disposizione che prevede i motivi di rifiuto facoltativo della consegna e che era stata inserita dall’articolo 6 comma 5 della legge 117/2019. Tra i motivi, secondo la Cassazione, non era previsto quello relativo al cittadino di uno Stato non membro Ue che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora in Italia, se la Corte d’appello dispone che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro Ue sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.
L’articolo 18-bis lettera c) della legge 69/2005 aveva fatto seguito a una sentenza della Corte costituzionale, la 227 del 2010, che con riguardo all’articolo 18 lettera r) aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di quella norma nella parte in cui non prevedeva il rifiuto di consegna (oltre che del cittadino italiano) anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Ue, che legittimamente ed effettivamente avesse residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno. E l’articolo 18-bis aveva contemplato alla lettera c) questa ipotesi.
Ora la Cassazione si chiede se non costituisca una violazione degli articoli 3, 11, 27, comma 3, e 117 della Costituzione il diverso trattamento riservato al cittadino di Stato non Ue che pure abbia legami stabili in Italia.
Frattanto però il decreto legislativo 10/2021 ha nuovamente riscritto l’articolo 18-bis e ha previsto l’ipotesi di rifiuto sia del cittadino italiano sia del cittadino di altro Stato Ue, legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano, specificando però la condizione che residenza o dimora deve risultare da almeno cinque anni.
La riforma non ha invece contemplato l’ipotesi del cittadino di Stato non Ue. E lo ha fatto per una precisa scelta. Si legge nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo che un tale ampliamento sarebbe incompatibile con la diversità dei regimi ai quali sono sottoposti i cittadini non Ue (che non godono del diritto di stabilimento, di circolazione e, più in generale, del diritto alla parità di trattamento) e sarebbe impercorribile se si tiene conto degli obblighi che derivano dalla decisione quadro, nella quale non è previsto questo ulteriore motivo di rifiuto. La sua introduzione implicherebbe quindi una riduzione dell’ambito di operatività del principio di mutuo riconoscimento.
La Corte costituzionale potrebbe a questo punto restituire gli atti alla Cassazione perché valuti se i dubbi di costituzionalità permangano anche sul nuovo testo dell’articolo 18-bis, salvo che non ritenga sostanzialmente inalterato il dettato normativo sospettato di illegittimità costituzionale ed esami la questione.