Sinistri, danno terminale: liquidazione personalizzata e mai simbolica
A seguito di un sinistro stradale, la liquidazione del danno "catastrofale", vale a dire la componente psichica del danno terminale, non può essere «simbolica o irrisoria». Al contrario essa va «personalizzata» tenendo conto che il «danno è massimo», sia nella sua «entità» che «intensità», come è provato del resto dal fatto che non è «suscettibile di recupero» esitando nella morte. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 16592 di oggi, ha così accolto (con rinvio) il ricorso dei genitori di un diciassettenne morto dopo tre giorni di agonia a seguito di un incidente stradale. La Suprema corte nel 2015 aveva già cassato, per il medesimo motivo, la prima decisione della Corte di appello di Milano che aveva liquidato mille euro, in totale, per il danno catastrofale, a fronte di una richiesta di 100mila euro. In sede di rinvio, il giudice di appello ha alzato a 2.500 euro al giorno (per un totale di 7.500 euro) il risarcimento sull'assunto che non era ragionevole ipotizzare che la vittima «fosse rimasta lucida e consapevole delle fine imminente per tutto il breve periodo della sopravvivenza». In tale liquidazione, dunque, era inclusa la componente di danno biologico terminale, nella sua misura massima tabellare di 144 euro al giorno. Per cui tale liquidazione non poteva per nulla ritenersi simbolica, considerato che la differenza, liquidata in via equitativa dalla Corte, andava a coprire proprio il danno catastrofale.
Per la Cassazione però la somma non è ancora sufficiente.
«Il danno catastrofale – spiega infatti la decisione - è comprensivo sia di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso) sia di una componente di sofferenza interiore psichica di massimo livello (danno catastrofale), correlata alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, che deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità che tengano conto della sua particolare rilevanza ed entità». «Pertanto - prosegue la Corte -, mentre nel primo caso la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo caso risulta integrato un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo - denominato "puro" ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso - che sappia tener conto della enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza». E, per la sussistenza del danno catastrofale, «la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo criteri di proporzionalità e di equità».
Così, tornando al caso concreto, per i giudici di legittimità, il ragionamento del Corte del merito, in sede di rinvio, è stato viziato dall'aver presunto, in mancanza di documentazione, «la insussistenza di una completa lucida consapevolezza dell'approssimarsi del fine vita da parte dell'adolescente»; mentre, prosegue la decisione, «un diverso giudizio era già stato formulato dalla Corte di cassazione che, nel cassare la sentenza per violazione di legge, aveva ritenuto sussistere tale consapevolezza nell'arco dei tre giorni in cui egli era rimasto in vita, e aveva già valutato come irrisoria la pregressa valutazione svolta dai Giudici di merito». Il ragionamento dalla Corte di appello (che ha valutato come congruo l'importo di 2.500 euro al giorno) «è pertanto viziato all'origine, perché risiede su una valutazione di minore intensità del danno da sofferenza psichica catastrofale che era già preclusa in virtù del dictum espresso dalla Corte di cassazione in sede rescindente».
Corte di cassazione - Sentenza 20 giugno 2019 n. 16592