Sospeso l'avvocato sfrattato che non restituisce l'immobile
Per il Cnf, è giusta la sanzione disciplinare della sospensione all'avvocato che subisce lo sfratto per morosità dal proprio studio legale e non restituisce l'immobile al locatore
Va sanzionato disciplinarmente l’avvocato sfrattato per morosità dal proprio studio che non restituisce l’immobile al proprietario. È quanto afferma il Consiglio nazionale forense (sentenza n. 50/2021) esprimendosi sul ricorso di un legale sospeso dalla professione per sei mesi.
La vicenda
Nella vicenda, l’avvocato ricorreva avverso la decisione del proprio Consiglio dell’ordine che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione di 6 mesi in quanto nonostante fosse stato sfrattato dal proprio studio professionale, tanto da subire l’escomio a mezzo ufficiale giudiziario, non aveva sgomberato l’immobile e non lo aveva consegnato al legittimo proprietario, così violando gli articoli 5,6,8 e 56 del Cdf.
La tesi difensiva
L’avvocato non ci sta e ricorre al Cnf lamentando la mancanza di legittimazione del Coa a esprimere decisioni disciplinari, affidata invece, in virtù del Dm 137/2012, al Cdd.
Inoltre, contesta il mancato riconoscimento della pregiudizialità penale richiesta e invocata per ben due volte, perché assorbente sull’intero giudizio disciplinare.
L’atto contestato, a suo dire privo di dolo e la presenza della causa di forza maggiore, avrebbero assunto un valore di esimenti.
Il Coa avrebbe disatteso senza motivo le richieste travisando anche i fatti storici.
Da ultimo, l’avvocato lamenta violazione del diritto di difesa, dato il mancato riconoscimento della validità della giustificazione (certificato medico) che attestava il legittimo impedimento dello stesso a comparire innanzi al Coa di Bari.
La decisione
Per il Consiglio nazionale forense, però l’avvocato ha torto su tutta la linea.
Circa il potere disciplinare in capo al Coa procedente, si legge in sentenza, il ricorrente ne lamenta solo in sede di gravame la carenza per effetto dell’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento professionale (legge 247/2012). Dunque, secondo la giurisprudenza consolidata del Cnf, l’eccezione è tardiva (da ultimo, si veda Cnf n. 135/2015).
Quanto alla mancata applicazione della sospensione del procedimento per pregiudizialità penale proposta innanzi al Coa e da quest’ultimo rigettata, il Consiglio chiarisce anzitutto che la “c.d. pregiudizialità penale ha subito una forte attenuazione, giacché il procedimento disciplinare può essere sospeso solo se sia ritenuto indispensabile poiché il procedimento stesso si svolge ed è definito con procedura e valutazioni autonome rispetto al processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti”. Correttamente, quindi, il Coa ha ritenuto, non essendovi incertezza sul fatto, che fosse venuta meno la ragione di tenere sospeso il procedimento disciplinare.
Quanto infine al mancato accoglimento dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento, osserva il Cnf, per giurisprudenza consolidata, anche della Cassazione, “il diritto ad ottenere il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento a comparire si concretizza solo in presenza di un impedimento assoluto”.
Per cui il Coa di Bari ha ben motivato l’assenza di impedimento assoluto a comparire per l’assoluta genericità della documentazione non attestante l’impossibilità dell’incolpato a presenziare all’udienza disciplinare (trattandosi nella specie di un certificato medico relativo a un mero sospetto di Covid).
Nulla di fatto, quindi, per l’avvocato. In definitiva, il Cnf ritiene provati i fatti, che il ricorrente non ha tentato neppure di confutare. Per cui, correttamente il Coa ha ravvisato nel contegno assunto dall’incolpato le violazioni deontologiche contestate prevedendo la sanzione della sospensione dell’esercizio della professione forense per mesi sei.
La massima
Da qui la massima: “Il comportamento dell’avvocato deve essere adeguato al prestigio della classe forense, che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale. Conseguentemente, commette e consuma illecito deontologico l’avvocato che non provveda al puntuale adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi (art. 64 cdf) e ciò indipendentemente dalla natura privata o meno del debito, atteso che tale onere di natura deontologica, oltre che di natura giuridica, è finalizzato a tutelare l’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato al rispetto dei propri doveri professionali e la negativa pubblicità che deriva dall’inadempimento si riflette sulla reputazione del professionista ma ancor più sull’immagine della classe forense”.