Civile

Spionaggio: la violazione del diritto alla riservatezza va risarcita

di Giuseppe Buffone

Risarcibile il danno non patrimoniale nei confronti di chi ha subito attività di “spionaggio” illecita, al fine di recuperare sue informazioni personali e professionali. Dell'illecito perpetrato dal dipendente, risponde il datore di lavoro in presenza di un nesso di occasionalità necessaria. Lo ha stabilito il tribunale di Milano con la sentenza del 16 marzo 2016.

Responsabilità dei padroni e dei committenti e danno - Il caso trattato dal Tribunale di Milano nella decisione in commento trae linfa da una vicenda di cronaca oggetto anche di paralleli accertamenti in sede penale. Un nutrito ventaglio di dipendenti di una società di servizi e comunicazioni avviava illecite attività di “spionaggio” ai danni di persone fisiche, talvolta legate da rapporto di clientela: le attività miravano a raccogliere in modo illecito e non assistito da consenso, informazioni di vario genere, dalla vita privata a quella professionale, al fine di farne oggetto di divulgazione o scambio. Per queste condotte, la Corte d'Assise di Milano riconosceva la consumazione del delitto di associazione per delinquere e stimava anche sussistente un danno da reato in capo ai soggetti passivi delle attività di spionaggio.

Entro questo ambito, si colloca la decisione del tribunale di Milano in commento che, pur riferendosi a vittime non costituitesi parti civili nel procedimento penale, affronta il tema della responsabilità del datore di lavoro per la illecita ingerenza nella vita privata degli “spiati”.

In primo luogo, l'ufficio milanese riconosce la legittimazione passiva della società datrice di lavoro «in quanto responsabile ex art. 2049 c.c del fatto illecito commesso dai suoi dipendenti, ricordando sul punto che, per pacifica giurisprudenza, è sufficiente che ricorra un mero vincolo di occasionalità tra attività lavorativa e danno, tale per cui le funzioni esercitate abbiano determinato o anche solo agevolato la realizzazione del fatto lesivo, essendo irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli o abbia agito con dolo o per finalità strettamente personali».

Il principio di diritto cui aderisce il Tribunale di Milano è coerente con il costume pretorile collaudato (da ultimo, v. Cass. Pen., sez. V, sentenza 23 febbraio 2016 n. 7124): ai fini della responsabilità solidale ex art. 2049 c.c. è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal preposto, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se egli ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti (ex multis e tra le più recenti Sez. 6, n. 17049 del 14 aprile 2011, M. e altri, Rv. 250498; Sez. 6 civ., n. 20924 del 15 ottobre 2015, Rv. 637475). In tal senso, non è necessario che sussista uno stabile rapporto di lavoro subordinato tra i due soggetti, essendo sufficiente che l'autore del fatto illecito sia legato al committente anche solo temporaneamente od occasionalmente e che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso (ex multis Sez. 5, n. 32461 del 22 marzo 2013, R.C. e Bogui, Rv. 257115).

In particolare, quella del committente è una responsabilità di natura oggettiva ispirata a regole di solidarietà sociale, tesa ad attribuire - secondo la teoria della distribuzione dei costi e dei profitti - l'onere dei rischio a colui che si giova dell'opera di terzi (Sez. 3 civ. n. 14578 del 22 giugno 2007, Rv. 598802; si v. anche Sez. 3 civ. n. 1516 del 24 gennaio 2007, Rv. 594385).

Quanto al danno da spionaggio, il Tribunale milanese predica una violazione del diritto alla privacy e, conseguentemente, provvede a una liquidazione equitativa del pregiudizio, passando, però, per indici sintomatici del nocumento quali: la tipologia delle intrusioni nella vita privata e la loro diffusione, come pure la durata delle intrusioni stesse, la loro portata, l'oggetto delle violazioni. Nel caso di specie, in conclusione, il tribunale milanese riconosce a ogni danneggiato un danno pari ad euro 15.000.

Tribunale Milano -Sezione X civile - Sentenza 16 marzo 2016

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