Studi a uso promiscuo, i paletti per gli accertamenti fiscali
Per la Cassazione, ordinanza n. 28338 depositata oggi, il mancato collegamento attestato dal Pvc non gode di fede privilegiata
La Cassazione detta le regole per gli accertamenti fiscali negli studi professionali a uso promiscuo. La Sezione tributaria, ordinanza n. 28338 depositata oggi, ha infatti accolto, con rinvio alla Ctr, il ricorso di un contribuente, titolare di uno studio tecnico di infortunistica stradale, posto nel seminterrato dell’abitazione dove abitava con la madre.
Secondo i giudici di merito non era stata provata la presenza di una porta che mettesse in comunicazione lo studio col resto dell’abitazione; inoltre veniva data prevalenza alla fede privilegiata del Pvc che non faceva menzione di un passaggio.
Al contrario, per il ricorrente la Guardia di Finanza era illegittimamente entrata in un locale promiscuo, “perché adiacente e collegato alla civile abitazione del contribuente”, senza la preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Inoltre, si era erroneamente accordato valore di fede privilegiata al pvc (che non faceva menzione della porta di collegamento fra lo studio e l’abitazione).
Per la Sezione tributaria il ricorso è fondato. La decisione impugnata, scrive la Cassazione, ha ritenuto che lo studio del contribuente non fosse locale promiscuo, “per essere indipendente dalla sua civile abitazione, quindi privo di agevole collegamento fra gli ambienti”. In questa valutazione, tuttavia, ha disatteso la documentazione offerta dal privato dando unicamente credito al Pvc.
I giudici chiariscono poi che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’accesso “a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo”. In questo caso dunque l’autorizzazione serve comunque, mentre i gravi indizi sono richiesti esclusivamente per le abitazioni pure. Inoltre, la Corte chiarisce che la destinazione a uso promiscuo ricorre “non soltanto ove i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi”. In altri termini, è necessaria “una verifica ed una valutazione sull’agevole comunicazione fra gli ambienti, che si misura nella facilità di trasportare i documenti contabili nelle stanze dell’abitazione, di talché, per esempio, il collegamento attraverso una scala stretta e ripida potrebbe non essere considerato agevole a tale fine”. Si tratta di una valutazione che spetta al giudice di merito, che dovrà farla una volta riscontrato il collegamento fisico fra i due ambienti che, nel caso di specie, è stato escluso dando prevalenza al pvc.
E veniamo qui al secondo motivo. La descrizione della stanza, specifica la Corte, “è dichiarazione di scienza con soggettività percettiva e precede il giudizio di valore in ordine al carattere promiscuo o meno dell’ambiente di lavoro del contribuente”. “Non può – prosegue - quindi ritenersi prevalente la risultanza probatoria del pvc, perché non assistita da fede privilegiata, rispetto ai documenti offerti da parte contribuente, che debbono essere riconsiderati in nuovo compendio”. Come, per esempio, eventuale documentazione catastale che comprovi, al momento dell’ispezione, la presenza della porta.
La Suprema corte ha dunque cassato con rinvio a decisione, affinché la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio verifichi se esisteva davvero il collegamento agevole e rivaluti le prove (foto, planimetrie, documentazione catastale ecc.).







