Sugli atti chiari e sintetici la riforma segue i giudici
Introdotto nel Codice di rito il principio generale elaborato dalla Cassazione. Ma per il primo grado le norme non prevedono sanzioni per le violazioni
Chiarezza, sinteticità e specificità degli atti processuali: sono i principi richiamati dalla legge delega del processo civile (206/2021) e poi attuati dal decreto legislativo 149/2022, con alcune norme applicabili ai procedimenti instaurati dal 1° marzo scorso. Si tratta di canoni già affermati in passato dalla giurisprudenza e che ora sono confermati dalle disposizioni.
Intanto, l’articolo 121 del Codice di procedura civile ora stabilisce, in via generale, che «tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico». Inoltre, si prevede che l’atto di citazione debba esporre «in modo chiaro e specifico» i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (articolo 163), e, simmetricamente, che nella comparsa di risposta il convenuto debba prendere posizione «in modo chiaro e specifico» sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda (articolo 167).
Per gli atti di impugnazione, si è stabilito che l’appello (tanto citazione quanto ricorso: articoli 342 e 434 del Codice) vada motivato «in modo chiaro, sintetico e specifico», e parimenti che il ricorso davanti al giudice di legittimità debba contenere, a pena di inammissibilità, «la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione» (articolo 366).
Si tratta di disposizioni introdotte perché dall’analisi di atti chiari e sintetici dovrebbero derivare risparmi di tempo per giudici e parti.
Tuttavia, non tutte queste disposizioni hanno una portata realmente innovativa.
Cominciando dalla citazione di primo grado, va rilevato che la mancanza di chiarezza e specificità dell’esposizione delle ragioni della domanda non è espressamente sanzionata con l’inammissibilità, né è contemplata tra le cause di nullità della stessa citazione previste dall’articolo 164 del Codice di rito civile. E tuttavia, i giudici di merito hanno ritenuto che «l’articolo 163, comma 3, nn. 3) e 4) Codice di procedura civile prevede che, in sede di citazione, l’attore deve indicare in modo sufficientemente chiaro e determinato, a pena di nullità dell’atto ex articolo 164, comma 4, Codice civile, la cosa oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti posti a suo fondamento» (Tribunale di Milano, sentenza 2665/2020).
Analogo discorso vale per l’atto di appello, per cui la chiarezza dell’esposizione delle argomentazioni a contrasto delle valutazioni del primo giudice è già da tempo richiesta dai giudici di secondo grado quale condizione di ammissibilità dell’impugnazione (da ultimo Corte d’appello di Milano, sentenza 2746/2022). Non si tratta – si legge già nella motivazione della sentenza 1275/2016 della Corte d’appello di Napoli – di «“sanzionare” (e tanto meno con la grave sanzione dell’inammissibilità) profili di maggiore o minore gradimento stilistico degli atti», essendo irrilevanti «gusti o (…) sensibilità di chi scrive e di chi legge». Tuttavia, è evidente che gli atti processuali dei giudici e delle parti devono essere redatti in maniera chiara, così da consentire al lettore un’immediata comprensione («compatibilmente con le difficoltà degli argomenti trattati») dei fatti e delle questioni di diritto.
Anche per la Corte suprema la specificità dei motivi dell’appello si deve già ritenere una condizione di ammissibilità del gravame; il giudice di legittimità, infatti, ha precisato che, se il grado di tale specificità non si può stabilire in via generale e assoluta, è comunque necessario che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante dirette a incrinarne il fondamento logico-giuridico (si veda Cassazione, 3194/2019).
Identiche considerazioni valgono per chiarezza e sinteticità oggi richieste (a pena di inammissibilità) per l’enunciazione delle ragioni esposte a sostegno del ricorso per cassazione. Infatti, già prima della riforma, il giudice di legittimità aveva affermato che l’atto non chiaro né sintetico espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, «perché pregiudica l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata» (Cassazione 8009/2019).
Giuseppe Finocchiaro
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