Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana
La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 17 e il 21 ottobre 2022
Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello sono chiamata e pronunciarsi in tema di assegno divorzile, responsabilità sanitaria, finanziamenti, locazioni e, infine, azione di rivendicazione.
A loro volta i Tribunali si pronunciano su contratto di assicurazione, amministratore di condominio, responsabilità civile dei Magistrati, rapporto di lavoro subordinato e, ancora, divisione della comunione.
SPERAZIONE E DIVORZIO
Assegno divorzile – Natura giuridica – Riconoscimento. (Legge 1 dicembre 1970 n. 898, articolo 5)
La Corte d'Appello di Roma chiarisce in sentenza che l'assegno divorzile ha natura, da un lato, assistenziale, e, dall'altro, perequativo-compensativa implicando il riconoscimento di un contributo volto, non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito in concreto nella vita familiare (art. 5 L. n. 898/1970).
Ciò posto, la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia, senza che in alcun modo possa determinare un disincentivo all'impegno lavorativo dell'avente diritto o una fonte di rendita parassitaria.
Il riconoscimento dell'assegno di divorzio presuppone, quindi, che l'ex coniuge che ne benefici disponga di mezzi inadeguati o, comunque, sia nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive ed è determinato in considerazione della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, del contributo fornito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.
E così il Giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno de quo, deve accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l'assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale.
Appello Roma, sez. pers. e fam. – min., 17 ottobre 2022 n. 6438
RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità sanitaria - Morte anticipata del paziente – Perdita di chance – Insussistenza.
La Corte d'Appello di Cagliari, adita in materia di responsabilità sanitaria, sulla premessa che l'illecito da chance perduta si dipana secondo la tradizionale scansione: - condotta colposa (omessa, erronea o ritardata diagnosi); - lesione di un diritto (il diritto alla salute e/o all'autodeterminazione, entrambi costituzionalmente tutelati); - evento di danno (sacrificio della possibilità di un risultato migliore); - conseguenze dannose risarcibili si sofferma sull'ipotesi in cui la condotta colpevole del medico abbia cagionato non già la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata), bensì una significativa riduzione della durata della sua vita ed una peggiore qualità della stessa per tutta la sua (minore) durata.
In tal caso il sanitario è chiamato a rispondere dell'evento di danno costituito dalla perdita anticipata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance; senza, cioè, che l'equivoco lessicale costituito dal sintagma "possibilità di un vita più lunga e di qualità migliore" incida sulla qualificazione dell'evento, caratterizzato non dalla "possibilità di un risultato migliore", bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze fisiche e spirituali.
Pertanto, ove risulti provato, sul piano etiologico, che la condotta imperita del sanitario abbia cagionato la morte anticipata del paziente, che sarebbe (certamente o probabilmente) sopravvissuto più a lungo e in condizioni di vita (fisiche e spirituali) diverse e migliori per un periodo specificamente indicato in sede peritale (sia pur con inevitabili margini di approssimazione), non di "maggiori chance di sopravvivenza" sarà lecito discorrere, bensì di un evento di danno rappresentato, in via diretta ed immediata, dalla minore durata della vita e dalla sua peggiore qualità (fisica e spirituale).
Costituisce invero pregiudizio risarcibile anche la privazione del fattore "tempo", cioè l'avere anticipato un evento che si sarebbe comunque verificato. E così il medico e/o la struttura sanitaria, per andare esenti da responsabilità, non solo non devono avere causato l'evento dannoso ma non lo devono nemmeno avere minimamente accelerato.
Appello Cagliari, 18 ottobre 2022 n. 458
CONTRATTO
Finanziamenti - A stato di avanzamento dei lavori assistito da ipoteca – Natura giuridica. (Legge 7 marzo 1996 n. 108, articolo 2)
La Corte d'Appello di Bari muove il suo argomentare dalla considerazione per cui l'art. 2, II, L. n. 108/1996 prevede che la classificazione delle operazioni per categorie omogenee (con riferimento alle quali debba poi rilevarsi trimestralmente il tasso effettivo globale medio, ai sensi del comma 1 del medesimo art. 2) sia effettuata annualmente con decreto del Ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi, tenuto conto della natura, dell'oggetto, dell'importo, della durata, dei rischi e delle garanzie.
Alla luce di tale quadro normativo tratta il tema se il contratto di finanziamento a stati di avanzamento dei lavori che risulti assistito da garanzia ipotecaria sia riconducibile alla categoria dei mutui (che ricomprende i finanziamenti muniti di tale garanzia) o a quella in cui confluiscono i diversi finanziamenti non ricompresi nelle altre classi di operazioni.
La questione assume importanza per il diverso limite, riferibile alle dette operazioni, "oltre il quale gli interessi sono sempre usurari" (art. 2, IV, L. n. 108/1996), giacché i decreti ministeriali di rilevazione del tasso effettivo globale medio indicano soglie diverse per i mutui con garanzia ipotecaria e per gli "altri finanziamenti".
In caso di dubbio circa la riconducibilità dell'operazione all'una o all'altra delle categorie (cui si riferisce la rilevazione dei tassi globali medi), l'interprete – secondo la Corte - deve procedere ad individuare i profili di omogeneità che l'operazione stessa presenti rispetto alle diverse tipologie ivi contemplate, attribuendo rilievo, a tal fine, ai parametri normativi individuati ex art. 2, II, cit. (natura, oggetto, importo, durata, rischi e garanzie) ed apprezzando, in particolare, quelli, tra essi, che, sul piano logico, meglio giustifichino l'inclusione del finanziamento in esame nell'una o nell'altra classe di operazioni.
Con la precisazione secondo cui il finanziamento a stato di avanzamento dei lavori assistito da ipoteca presenta, con particolare riferimento a due dei parametri menzionati dall'art. 2, I, L. 108/1996, ovvero il grado di rischio dell'operazione e la garanzia ad esso correlata, evidenti elementi di omogeneità con il mutuo con garanzia reale e va, dunque, ad esso assimilato.
Appello Bari, sezione II, 19 ottobre 2022 n. 1538
LOCAZIONI
Danneggiamento dell'immobile locato - Risarcimento danni. (Cc, articolo 1590)
La Corte d'Appello di Brescia, in punto di diritto, afferma il principio secondo cui un danno da "perdita" correlato alla mancata percezione del canone di locazione, dopo il rilascio dell'immobile locato, si può configurare solo se in concreto, cioè per le condizioni in cui si trova l'immobile, il rilascio del bene non abbia posto il locatore nella condizione di poter esercitare il godimento, di cui si era privato concedendo l'immobile in locazione, secondo tutte le sue naturali modalità, cioè o direttamente o attraverso il conferimento a terzi a titolo oneroso del godimento tramite una nuova locazione.
Affinchè questa ipotesi si verifichi è necessario che il ripristino di tutte tali possibilità di godimento alternativo a seguito del rilascio non si possa dire avvenuto, nel senso che il locatore, una volta conseguito il rilascio, non sia stato posto nella condizione di esercitare il godimento.
Ciò accade se l'immobile venga restituito dal conduttore in condizioni tali che il locatore non sia stato posto nella condizione di godere del bene anche soltanto secondo una delle due possibilità, fermo restando che dette condizioni non debbono essere riconducibili al deterioramento derivante dall'uso della cosa ed a quello da vetustà (art. 1590 c.c.).
Anche qualora sia stato convenuto legittimamente che l'immobile dovesse restituirsi in un certo preciso stato, il rilascio in uno stato non conforme assume il medesimo rilievo, onde il tempo di privazione del detto godimento che è necessario per l'attività diretta a ripristinarlo dà luogo ad una "perdita" del godimento.
Il locatore è posto, dunque, in tali casi in una situazione di ripristino del suo godimento che non è integrale, perchè si vede negata la possibilità di utilizzazione materiale diretta e indiretta tramite stipula di nuova locazione, cioè utilizzazione nel medesimo modo in cui aveva utilizzato il bene locandolo.
Per effetto dell'inadempimento egli subisce una perdita e la subisce in via immediata e diretta come conseguenza dell'inadempimento inesatto dell'obbligazione di rilascio. La perdita si commisura al tempo occorrente per il ripristino dell'immobile in condizioni tali da poter essere goduto direttamente o da poter essere goduto indirettamente a titolo locativo.
Appello Brescia, sezione II, 19 ottobre 2022 n. 1226
PROPRIETA'
Azione di rivendicazione – Onere della prova. (Cc, articoli 2653 e 2697)
La Corte d'Appello di Napoli è chiamata a pronunciarsi in tema di azione di rivendicazione che rappresenta il principale strumento attribuito al proprietario a tutela del proprio diritto.
Essa è concessa a colui che si afferma proprietario di una cosa, che è posseduta o detenuta da altri, e serve ad accertare se chi agisce abbia effettivamente il diritto di proprietà, e tende così a fargli ottenere il possesso della cosa ove in giudizio venga accertato che egli è davvero il proprietario, con conseguente condanna del convenuto a consegnare il bene all'attore.
In conformità delle regole generali di cui all'art. 2697 c.c., quest'ultimo ha l'onere di dimostrare il suo diritto, per cui, se l'acquisto non è a titolo originario, deve dare la prova del suo titolo di acquisto e del titolo di acquisto dei precedenti titolari fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario.
L'azione di rivendicazione (che va trascritta se riguarda un bene immobile ai sensi dell'art. 2653, n. 1, c.c.) mira a ricongiungere la proprietà al possesso ed è un mezzo a tutela del proprietario non possessore del suo bene, teso a consentirgli di ottenerne la restituzione, previa dimostrazione di un titolo di proprietà sulla res posseduto da altri.
In particolare, si osserva in sentenza come il rigore del principio secondo il quale l'attore in rivendica deve provare la sussistenza dell'asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione, risulti attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell'originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l'onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto.
E cioè a dire, il rigore della c.d. "probatio diabolica" si attenuta nell'ipotesi di mancata contestazione da parte del convenuto dell'appartenenza del bene ad un comune dante causa, gravando, in tal caso, sulla parte che agisce in rivendica l'onere di fornire la prova di aver acquistato il diritto di proprietà in base ad un valido titolo.
Appello Napoli, sezione IV, 19 ottobre 2022 n. 4354
ASSICURAZIONE
Contratto di assicurazione – Risarcimento danni – Prescrizione. (Cc, articoli 2946 e 2952)
Precisa in sentenza il Tribunale di Catanzaro come, in tema di assicurazione contro gli infortuni, dal quale derivino postumi di invalidità di carattere permanente, il termine di prescrizione del diritto all'indennizzo decorre (ex art. 2952, II, c.c.) dal verificarsi dell'evento lesivo previsto dalla polizza e, dunque, dal momento in cui emerga lo stato di invalidità permanente coperto dalla stessa, sicché l'assicuratore che intenda opporre la prescrizione del diritto fatto valere dall'assicurato ha l'onere di provare non già la data di verificazione del sinistro, ma quella nella quale si è manifestato lo stato di invalidità conseguente allo stesso.
È cioè a dire, il diritto al risarcimento del danno derivante dal contratto di assicurazione si prescrive nel termine di due anni che decorrono dal momento in cui l'evento si è verificato.
Il testo dell'art. 2952 c.c. deve essere interpretato in termini rigorosi, anche in considerazione del fatto che il termine di prescrizione ivi previsto è straordinariamente breve, sicchè risultano sconsigliabili interpretazioni della lettera della legge che, ancorando la decorrenza del termine adatto a comportamenti non identificabili in modo certo, possano pregiudicare ulteriormente la certezza dei rapporti e l'esercizio dei diritti spettanti all'assicurato.
La necessità di un'interpretazione restrittiva, d'altra parte, deriva, prima ancora che dal fatto che la norma in esame pone una deroga alla regola generale di cui all'art. 2946 c.c., dalle perplessità che hanno accompagnato la scelta dei codificatori di fissare così brevemente - in origine addirittura in un anno - la prescrizione degli altri diritti derivanti dall'assicurazione.
Con la precisazione che se è vero che i diritti derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono nel termine di due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda, è altrettanto vero che i diritti in questione sono solo quelli che si ricollegano direttamente e unicamente alla disciplina legale o pattizia del contratto di assicurazione, nel quale trovano il loro titolo immediato ed esclusivo, e non anche i diritti che, sia pure in occasione o in esecuzione del rapporto assicurativo, sorgono o sono fatti valere dall'assicurato o dall'assicuratore sulla base di altro titolo.
Tribunale di Catanzaro, sezione II, 18 ottobre 2022 n. 1477
CONDOMINIO
Amministratore di condominio – Cessazione dall'incarico - Adempimenti. (Disp. att. c.c., articolo 71; Cc, articoli 1129, 1130, 1131, 1710, 1713 e 2229)
Osserva il Tribunale di Potenza che l'amministrazione di condominio non costituisce prestazione d'opera intellettuale, né l'amministratore è, perciò, subordinato all'iscrizione in albi o elenchi, ai sensi dell'art. 2229 c.c., quanto, piuttosto, al possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità di cui all'art. 71 bis disp. att. c.c., rientrando l'attività nell'ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi ed essendo il relativo esercizio disciplinato dagli artt. 1129, 1130, 1131 c.c. nonché, in via residuale, dalle norme in tema di contratto di mandato, in forza del rinvio espresso a queste ultime contenuto nel penultimo comma dell'art. 1129 c.c..
Se l'amministratore di condominio è mandatario dell'ente di gestione, costituisce principio generale quello secondo il quale il mandatario nell'adempimento del mandato deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.), e, al termine del mandato, deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato (art. 1713, I, c.c.).
Si afferma così in sentenza che la consegna della documentazione contabile e patrimoniale del condominio costituisce espressione del dovere di lealtà e di collaborazione del mandatario, non solo nei confronti dell'ente di gestione ma anche nei confronti del nuovo amministratore di condominio, in considerazione del fatto che la consegna della documentazione in parola costituisce l'indispensabile prius logico e giuridico che consente la continuità nella amministrazione dell'ente di gestione.
L'amministratore condominiale cessato dall'incarico è tenuto a restituire tutta la documentazione in suo possesso ed afferente alla gestione condominiale, mediante riconsegna all'amministratore subentrante ovvero al singolo condomino che gliene faccia richiesta (nel caso di mancata nomina del nuovo amministratore).
Ad abundantiam, l'obbligo per l'amministratore uscente, alla cessazione dell'incarico, di consegnare tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini è stabilito direttamente dall'art. 1129, VIII, c.c. come pure esplicitamente dettato dall'art. 1713, I, c.c..
Tribunale di Potenza, 18 ottobre 2022 n. 1102
MAGISTRATI
Responsabilità civile dei magistrati – Successioni delle leggi nel tempo. (Legge 13 aprile 1988 n.117, articolo 1; legge 27 febbraio 2015 n. 18, articoli 2 e 2)
Il Tribunale di L'Aquila, in sentenza, tratta il tema della responsabilità civile dei Magistrati disciplinato, normativamente, dalla L. n, 117/1988 (smi) che trova applicazione nei confronti si tutti gli appartenenti alle magistrature che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni (art. 1, I).
Vi è, dunque, un duplice presupposto condizionante l'applicazione della citata L. n. 117: di status (appartenenza alla Magistratura) ed oggettivo (esercizio di attività giudiziaria).
Nella compresenza dei presupposti anzidetti, la proposizione dell'azione per il risarcimento del danno (per l'appunto, cagionato "nell'esercizio delle funzioni giudiziarie", come recita il titolo della legge) direttamente nei confronti del Magistrato è consentita soltanto nell'ipotesi di cui all'art. 13 della stessa L. n. 117/1988, ossia da "chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni".
Diversamente, l'azione diretta di danno può essere proposta unicamente contro lo Stato.
Ne consegue che, al di fuori dell'ipotesi disciplinata dal citato art. 13, la proposizione, in sede civile, di azione diretta contro il Magistrato configura una fattispecie di improponibilità assoluta e definitiva della domanda, in quanto concernente un diritto non configurato in astratto a livello normativo dall'ordinamento.
Orbene, ciò detto, è da rilevare che l'adito Tribunale di L'Aquila interviene avuto particolare riguardo al profilo della successione delle leggi nel tempo.
Si osserva così che, in ordine ai vari aspetti della disciplina contenuta nella L. n. 117/1988 intaccati dalla L. n. 18/2015, in mancanza di una disciplina transitoria, e stante la generale irretroattività della legge, la tempestività dell'azione deve essere vagliata alla stregua del termine esistente al momento in cui l'azione sia divenuta esperibile ed il vaglio di merito delle condotte contestate al Magistrato va compiuto in base al testo di legge vigente allorché esse furono poste in essere.
E così, la Legge del 2015, in mancanza di una disciplina transitoria, si applica ai soli fatti illeciti posti in essere dal Magistrato, nei casi previsti dagli artt. 2 e 3, dalla data della sua entrata in vigore (19 marzo 2015).
Tribunale L'Aquila, sezione unica, 19 ottobre 2022 n. 710
LAVORO E FORMAZIONE
Rapporto di lavoro subordinato - Subordinazione "attenuata" – Requisiti. (Cc, articolo 2094)
Sottolinea in sentenza il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano come la disciplina del lavoro subordinato, ex art. 2094 c.c., sia connotata dal cosiddetto "principio di indisponibilità del tipo".
A tal fine, difatti, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti, la disciplina del lavoro subordinato prevale rispetto alle pattuizioni dell'autonomia privata, in guisa da rafforzare e rendere inderogabili le tutele e le guarentigie poste a presidio del soggetto caratterizzato geneticamente da una sproporzione di forza contrattuale tra le parti contraenti, per l'appunto il lavoratore subordinato.
In particolare, il Giudice volge lo sguardo sulla cd. subordinazione "attenuata" per riscontrarne i criteri cardine da assumere nell'indagine sulla natura del rapporto.
Si precisa così come, in ordine alla qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in presenza di prestazione con un elevato contenuto intellettuale, sia necessario verificare se il lavoratore possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale, potendosi ricorrere altresì, in via sussidiaria, a elementi sintomatici della situazione della subordinazione quali l'inserimento nell'organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l'inerenza al ciclo produttivo, l'intensità della prestazione, la retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato.
In particolare, ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale - nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente - il Giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell'ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata aziendale.
Tribunale Milano, sezione lavoro, 19 ottobre 2022 n. 2310
COMUNIONE
Divisione – Divisione in natura – Vendita. (Cc, articolo 720)
Chiarisce in sentenza l'adito Tribunale di Palermo che il comunista, sia di una comunione ereditaria che di una comunione ordinaria, non è titolare della quota indivisa di ogni singolo bene facente parte della più ampia massa (cd. "quotina"), ma è titolare esclusivamente di una quota indivisa dell'intera massa comune (cd. "quotona" ), sicché quando ad essere oggetto di cessione da parte di un coerede sono quote di uno o più cespiti ereditari, data la mancanza nel coerede della titolarità esclusiva del diritto di proprietà sul singolo bene, l'efficacia della cessione ha effetti puramente obbligatori e resta subordinata alla condizione della assegnazione, a seguito della divisione, del bene o della sua quota parte al coerede medesimo, salva l'ipotesi in cui ad essere trasferito dal coerede sia la quota indivisa di tutti i beni costituenti cespiti ereditari della medesima successione, nel qual caso si presume l'avvenuta alienazione dell'intera quota ereditaria.
Con la precisazione che, nel caso di divisione di beni oggetto di comproprietà provenienti da titoli diversi non si ha un'unica comunione ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un'entità patrimoniale a sé stante, nella quale ogni condividente deve poter far valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse e nell'ambito di ciascuna massa debbono trovare soluzione i problemi relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi.
È possibile procedere a un'unica divisione invece che a tante divisioni quante sono le masse solo con il consenso di tutti i condividenti, che deve trovare titolo in uno specifico negozio - che ove, riguardante beni immobili, deve rivestire la forma scritta "ad substantiam" - con il quale si attui il conferimento delle singole comunioni in una comunione unica.
Ed ancora, osserva il Tribunale adito che la disciplina generale in tema di divisione impone al Giudice di perseguire in via prioritaria il risultato della divisione in natura; soltanto nel caso in cui tale risultato non sia conseguibile, interviene la regola dettata dall'art. 720 c.c. (dapprima l'attribuzione al condividente, e la vendita del bene come extrema ratio).
Tribunale Palermo, sezione II, 20 ottobre 2022 n. 4233
Giustizia civile: correttivi alla Cartabia, riforme inutili che generano confusione
di Mauro Bove - Professore ordinario di diritto processuale civile presso l'Università di Perugia