Civile

Fallimento, nessun compenso per il professionista se la prestazione è inidonea

Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 19174 depositata oggi, respingendo il ricorso di un commercialista

di Francesco Machina Grifeo

Per quanto quella dei professionisti non sia, come noto, una obbligazione di risultato, tuttavia il diritto al compenso scatta solo in presenza della “concreta ed effettiva idoneità delle prestazioni svolte” a conseguire il risultato prefissato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 19174 depositata oggi, respingendo il ricorso di un commercialista che aveva chiesto l’ammissione allo stato passivo di un Fallimento per un credito professionale di quasi 300mila euro per aver “assistito” la società poi fallita nella procedura di concordato preventivo.

La domanda era stata respinta, su eccezione del Fallimento, per via degli “ingenti pagamenti” di debiti concorsuali, lesivi degli interessi della massa, in favore di diciannove creditori anteriori. In tal modo, si era lesa la parità di trattamento, essendo stata incontestatamente sottratta “liquidità per quasi due milioni di euro”, che “avrebbe potuto essere impiegata per il pagamento dei creditori prededotti, dei dipendenti e degli altri creditori privilegiati”, i quali, infatti, “non sono … stati pagati, a fronte di crediti chirografari che invece sono stati regolarmente soddisfatti sin dal 2012 in corso di procedura e senza che tale soddisfazione abbia portato alcuna concreta maggiore utilità al ceto creditorio”. Per il Tribunale, dunque, l’advisor era stato largamente inadempiente non avendo “debitamente informato gli amministratori della necessità di procedere solo con le forme ed alle condizioni di cui all’art. 182 quinquies, comma 4°, l.fall”.

E la Prima sezione civile ha confermato. “Non può dubitarsi - si legge nella decisione - che tanto il commercialista, quanto l’avvocato, dopo aver accettato l’incarico di predisporre e/o di patrocinare una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, con i relativi allegati documentali, hanno l’obbligo, al pari dell’attestatore, di eseguire la corrispondente prestazione professionale con la diligenza richiesta”. Vale a dire, prosegue la decisione, di procedere “tra l’altro, con la redazione di una proposta di concordato che, dovendo essere funzionale al conseguimento del risultato perseguito dal debitore (e cioè la regolazione, attraverso la procedura di concordato preventivo, della propria crisi), sia, quanto meno, rispettosa, nella forma e nel contenuto, delle norme giuridiche inderogabili previste dalla legge al fine di conseguire, di volta in volta, l’ammissione a tale procedura, la conservazione di tale ammissione, l’approvazione della proposta da parte dei creditori e l’omologazione della stessa da parte del tribunale”.

Così, tornando al caso concreto, il pagamento da parte del debitore, non autorizzato dal giudice, di un debito scaduto, “ove eseguito in data successiva al deposito della domanda di concordato preventivo, determina, infatti, in linea di principio, la revoca dell’ammissione alla procedura, ai sensi dell’art. 173, comma 3°, l.fall., a meno che non ricorra il caso (escluso, in fatto, dal tribunale) in cui (si dimostri che) tale pagamento non sia stato pregiudizievole per l’interesse dei creditori”.

E allora se il professionista omette di informare il debitore “che abbia presentato (o stia per presentare) la domanda di ammissione al concordato preventivo del divieto giuridico di eseguire, dopo il deposito del relativo ricorso, atti di pagamento di debiti concorsuali (salvo che con le prescritte autorizzazioni giudiziali), dà, pertanto, luogo, in ragione dell’imperizia conseguente alla inescusabile ignoranza delle norme giuridiche che presiedono all’attività giuridica della committente per il periodo successivo al deposito del ricorso, al colpevole inadempimento agli obblighi contrattualmente assunti”.

In conclusione, considerato che il professionista ha messo “indebitamente a rischio il diritto del cliente alla regolazione concordataria”, si deve ritenere che “la sua obbligazione contrattuale è stata totalmente inadempiuta ed improduttiva di effetti”, con la conseguenza che egli “non vanta alcun diritto (suscettibile di essere ammesso al passivo) al compenso, anche se l’adozione dei mezzi difensivi rivelatisi pregiudizievoli al cliente sia stata, in ipotesi, sollecitata dal cliente stesso”.

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