Un primo passo per evitare l’irreparabile gogna mediatica
Impedire che davanti al tribunale della pubblica opinione l’imputato appaia da subito come presunto colpevole
Nel difficile bilanciamento tra informazione giudiziaria e diritti fondamentali dei soggetti coinvolti, il legislatore europeo – con la Direttiva Ue 2016/343 – ha preso atto di un evidente squilibrio e di un’esigenza di rafforzamento della presunzione di innocenza, garanzia fortemente pregiudicata dalla divulgazione di notizie ed atti riferibili ad un procedimento penale.
Quando vengono diffuse notizie concernenti una indagine penale – spesso con toni sensazionalistici e con accentuazioni colpevoliste - nel “palcoscenico di verità di pronto consumo” offerto dai media, la presunzione di innocenza si converte, fatalmente, in presunzione di colpevolezza, e i soggetti coinvolti subiscono una immediata – e spesso irrimediabile - perdita di status.
La centrifuga mediatica
Davanti al tribunale della pubblica opinione, if there’s smoke there’s fire, e il soggetto coinvolto in un procedimento penale – come imputato o anche semplicemente come indagato – appare subito come un “presunto colpevole”, con una ustionante degradazione pubblica ed un sacrificio spesso irreversibile della presunzione di non colpevolezza e di ulteriori diritti personalissimi coinvolti e travolti nella catàbasi mediatica: onore e reputazione, in primis, ma anche vita privata, familiare, lavorativa, professionale, etc. Ed anche i terzi interessati – per qualche ragione – da atti di indagine, finiscono spesso nella centrifuga mediatica, come dolorosamente insegna l’esperienza delle intercettazioni telefoniche irrilevanti, e purtuttavia ostentate sui giornali squadernando le “vite degli altri”.
In questa cornice si iscrive, dunque, l’importante direttiva Ue a cui il legislatore italiano dà attuazione, introducendo regole e cautele allo scopo – appunto – di rafforzare la presunzione di innocenza, anzitutto, come regola di trattamento: prima di un accertamento compiuto e definitivo, il soggetto sottoposto ad indagini non potrà più essere presentato coram populo come colpevole.
Di qui il divieto «alle autorità pubbliche di indicare come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili»; divieto che si è voluto persino corredare, in caso di violazione, con il riconoscimento all’interessato di un – per vero problematico - diritto di rettifica della dichiarazione resa (attivabile anche in sede cautelare), «ferma l’applicazione delle eventuali sanzioni penali e disciplinari, nonché l'obbligo di risarcimento del danno».
Necessario rigore deontologico
Analoga stretta si impone alle modalità di comunicazione tra gli organi inquirenti e gli organi di informazione, dove la diffusione di notizie – che dovrà comunque evitare di «assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza» - sarà consentita solo ove «strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini» o se ricorrono «altre specifiche ragioni di interesse pubblico»: limitazioni la cui tenuta dipenderà – come si intuisce – dalla serietà con cui verranno interpretati, nella prassi applicativa, i presupposti generali appena evidenziati.
Si tratta, senza dubbio, di un primo, importante passo avanti nella tutela dei diritti fondamentali coinvolti nell’accertamento penale, apprezzabile anzitutto sul piano culturale: avvertiti comunque che il cammino per la piena affermazione della presunzione di innocenza è ancora lungo, e che l’effettività di queste innovazioni dipenderà dal rigore deontologico di tutti gli attori coinvolti, giacché nessuna riforma normativa ha effetto senza il cemento sociale che la sostenga.