Società

Legittimario leso da donazione indiretta e opposizione alla fusione di una società

La Sezione specializzata in materia di impresa del tribunale Milano nell'ambito di progetto di fusione si è occupato della questione

di Valeria Cianciolo*

Nota a Trib. Milano, Sez. spec. in materia di impresa, ord. 24 gennaio 2019, n. 420.

Il caso. L'assemblea dei soci di una S.p.a. deliberava la fusione per incorporazione con una sua controllante. Un creditore proponeva opposizione ex art. 2503 codice civile, dinnanzi il Tribunale di Milano, sostenendo che l'esecuzione della fusione gli avrebbe procurato un grave pregiudizio, determinando l'annullamento di alcune azioni della società controllanda, oggetto di controversie di natura ereditaria intercorrenti tra l'opponente e i propri fratelli. Nello specifico era in corso, un'azione di riduzione delle donazioni indirette, aventi ad oggetto un certo numero di azioni della società incorporanda, ricevute dai fratelli /donatari di parte attrice, dalla comune madre a dispetto dei diritti di parte attrice quale legittimario. All'annullamento delle azioni quale naturale effetto dell'operazione di fusione, sarebbe conseguita, secondo la tesi di parte attrice, l'impossibilità di ottenerne la restituzione, sebbene il riconoscimento del proprio diritto di proprietà sulle azioni stesse, fosse oggetto del diverso e pendente procedimento successorio, il cui esito era incerto .

Le società convenute ottenevano l'autorizzazione a procedere alla fusione, ai sensi degli artt. 2503, comma 2, e 2445, comma 4, codice civile, affermando l'insussistenza della qualifica di creditore delle società resistenti in capo al soggetto opponente, nonché l'assenza di qualsiasi pregiudizio ad esso derivante dall'esecuzione della delibera di fusione.

L'opponente proponeva reclamo che veniva rigettato dal collegio, in buona sostanza, perché gli interessi sottesi all'esercizio dell'opposizione devono consistere in veri e propri diritti di credito, "intesi come ius ad personam e non ad rem "(o di altro genere), garantiti dal patrimonio finale dell'incorporante, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2740 e 2471 codice civile

Il provvedimento meneghino offre lo spunto per una riflessione su un tema che sovrappone due tematiche quella successoria e quella societaria in quanto nel caso di specie, il legittimario che afferma di essere stato leso nelle sue prerogative si oppone alla fusione quale creditore.

Le questioni sottese al provvedimento. Il progetto di fusione è il documento redatto dagli amministratori delle società partecipanti alla fusione, con il quale vengono individuate tutte le peculiarità e le modalità dell'operazione di fusione che può essere "propria" o "per incorporazione". Tale progetto ha una funzione prevalentemente informativa per i soci, ai quali è sottoposto per l'approvazione, e per i creditori sociali anteriori all'iscrizione nel registro delle imprese del progetto di fusione (o alla pubblicazione dello stesso
sul sito internet della società), che possono esercitare il diritto di opposizione, ai sensi dell'art. 2503 codice civile, nonché per gli altri terzi interessati.

La fusione potrebbe pregiudicare i creditori delle singole società che vi prendono parte in quanto a seguito della compenetrazione dei patrimoni, essi subiscono il concorso dei creditori delle altre società sul patrimonio che viene a formarsi (Buonocore, Le modificazioni dell'impresa societaria. La fusione, in Buonocore (a cura di), Manuale di diritto commerciale, Torino, 1999, 481; Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e le società , Milano, 1996, 908, che assimila l'effetto di confusione del patrimonio delle società che si fondono alla confusione del patrimonio ereditario con quello dell'erede nel caso in cui l'eredità sia passiva o l'erede sia oberato di debiti)

Per quanto concerne la ratio dell'istituto, l'opinione prevalente considera la norma come un presidio del creditore che fosse interessato ad evitare di veder minata, a seguito della fusione, l'integrità della garanzia patrimoniale offerta dalla società debitrice (art. 2740 cod. civ.).

I creditori che sono legittimati all'opposizione alla fusione sono, senz'altro, i titolari di crediti certi, liquidi ed esigibili, ma altresì ai titolari di crediti non liquidi e esigibili, ai titolari di crediti sottoposti a termine o a condizione (Tantini, Trasformazione e fusione, in F. Galgano (a cura di), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, VIII, Padova, 1985, 187 ss.), di crediti contestati (G. Ghidini, Società personali, Padova, 1972, 986.), di crediti assistiti da garanzia personale o reale, e anche di quelli che hanno ad oggetto una prestazione diversa dal denaro. Del resto, l'unico limite di tutela espressamente previsto dal legislatore all'art. 2503 codice civile sembra essere quello temporale, consistente nell'imprescindibile anteriorità del momento genetico della pretesa creditizia.


La posizione del legittimario leso dinanzi all'opposizione. Il Tribunale di Milano ha rigettato il reclamo avverso l'autorizzazione alla fusione, sul presupposto, che parte attrice non fosse legittimata (o quanto meno, non ancora) quale creditrice delle società procedenti alla fusione; e, perché non vi era alcun pregiudizio a lei riconducibile per effetto dell'esecuzione della fusione.

Secondo la tesi del Tribunale meneghino, se legittimati all'opposizione sono anche i titolari di crediti non liquidi, inesigibili, condizionati o contestati, occorre comunque che il credito sia sorto alla data del deposito della deliberazione nel Registro delle Imprese della deliberazione di fusione: non è possibile includere nella categoria dei creditori legittimati all'opposizione, coloro che affermino di aver subito una lesione della propria quota di legittima in conseguenza di donazioni indirette, per la natura costitutiva della sentenza che accerta la lesione della quota di legittima. Nel caso di specie, il reclamante sarebbe stato legittimato all'opposizione se fosse già intervenuta una sentenza anteriormente all'iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese. Il che, nella fattispecie non era accaduto, poiché al momento dell'iscrizione era ancora pendente la causa ereditaria.

Sul punto, vi è da dire che l'ordinanza dà per scontato il fatto che alle liberalità non donative (si ricorda che il contenzioso ereditario, come meglio specificato più sopra, aveva ad oggetto la riduzione delle azioni donate ai fratelli del reclamante dalla madre con una vendita) si applichino le stesse considerazioni che valgono per le (sole) donazioni dirette, cosa che non è del tutto assodata, neppure in giurisprudenza. Infatti, l'esperimento vittorioso dell'azione di riduzione ex art. 555 codice civile dà luogo ad una pronuncia di accertamento costitutivo con efficacia retroattiva reale per le donazioni dirette. Lo stesso discorso non può farsi per le donazioni indirette, dove il legittimario leso matura una ragione di credito, di conseguenza, l'azione non è restitutoria, ma ricuperatoria di un credito. Dunque, l'azione si concretizza in un'azione restitutoria del (solo) valore di cui il donatario si è arricchito. In buona sostanza, il legittimario maturerebbe un credito. Ma tale credito come può garantirlo se non gli viene riconosciuta la legittimazione all'opposizione per il solo fatto di non avere in mano una sentenza che gli riconosca tale credito quale legittimario leso?

Qui l'ordinanza milanese non convince del tutto. Se sono legittimati all'opposizione coloro i quali vantino un credito verso la società a prescindere dall' esigibilità del credito, perché non tutelare anche il creditore che potrebbe subire un danno nell'attesa di vedersi riconosciuta la lesione della sua legittima? Nel giudizio di opposizione può riscontrarsi anche solo la ‘‘potenziale pericolosità'' dell'operazione per le ragioni dei creditori opponenti e questo la giurisprudenza di merito in passato lo ha affermato (Trib. Milano, 16 marzo 1996, in Giur. It., 1997, I, 36; Trib. Genova, 13 luglio 1992, in Societa`, 1993, 501) e questa potenziale pericolosità è certamente rinvenibile nel rischio per l'attrice di non ottenere quanto le fosse riconosciuto all'esito della causa ereditaria (Busani, La stipula dell'atto di fusione nonostante l'opposizione dei creditori, in Le Società, 2015, 1227, nt. 3. Ovviamente, il creditore opponente deve dimostrare, in sede giudiziale, come la fusione possa almeno potenzialmente implicare il concreto ed attuale rischio del venir meno della possibilità di recuperare il suo credito o, comunque, di ledere la garanzia patrimoniale che egli aveva prima della delibera di fusione. Ovviamente, occorre ponderare vari fattori far loro: le situazioni patrimoniali e finanziarie delle società partecipanti alla fusione, la natura e l'entità del credito vantato, l'esistenza di garanzie accessorie od autonome, le eventuali altre circostanze del caso concreto.

Rimane il fatto che l'azione di opposizione assolve ad una funzione cautelare, a valenza conservativa, e sbarra la strada all'esecuzione dell'atto di riorganizzazione della società debitrice per prevenire effetti in danno dei creditori. Non solo. Ma anche che l'art. 2503 c.c., oltre all'anteriorità del titolo, non pone limitazioni di sorta circa la natura, l'oggetto o l'attualità della pretesa, cosa di cui il provvedimento meneghino pare non essersi preoccupato.

* Avvocato del Foro di Bologna

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