Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:
1. Adozione in casi particolari, GPA e attribuzione del cognome
2. Mantenimento figli maggiorenni
3. Rinuncia all'eredità
4. Affidamento condiviso e trasferimento della madre
5. Mantenimento dei figli e strumenti per la decurtazione dell'assegno
6. Assegno divorzile e convivenza more uxorio
7. Separazione con addebito per violenze al coniuge
8. Natura aleatoria del contratto di mantenimento
9. Separazione dei coniugi, vessazioni subite dal minore a scuola ed istanza del padre di iscrizione del figlio presso altra scuola
10. Amministrazione di sostegno


1. ADOZIONE – Adozione in casi particolari, GPA e attribuzione del cognome
(Legge 184/1983, articolo 44, comma 1, lettera d); Cc articoli 55, 299 e 300)
Nel diritto interno la tutela del superiore interesse del minore sancisce un vero e proprio diritto alla continuità affettiva anche in ambito adottivo.
Deve darsi corso all'adozione in favore del ricorrente che intrattiene una relazione e una stabile convivenza con il padre biologico della minore nata a seguito di una procedura di gestazione per altri. L'adozione "in casi particolari" ex articolo 44, comma 1 lettera d), della legge n. 184/1983 può essere disposta a favore del convivente omosessuale del genitore dell'adottando, quando essa risponde al superiore interesse del minore e garantisce la copertura giuridica di una situazione già esistente, che nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale.
Il riconoscimento del legame parentale fra adottando e famiglia dell'adottante equivale a una mera conseguenza della pronuncia di adozione.
NOTA
Il provvedimento è stato depositato poco prima della sentenza della Corte Costituzionale del 18 marzo 2022, n. 79 che ha dichiarato incostituzionale - con riferimento agli articoli 3, 31 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'articolo 8 della CEDU - l'articolo 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184, laddove imponeva di applicare all'adozione in casi particolari dei minori le regole dettate dall'articolo 300, comma 2, c.c. per l'adozione dei maggiorenni, escludendo, l'instaurarsi di rapporti civili tra il minore adottato in casi particolari e i parenti dell'adottante. L'adozione in casi particolari non assicurava infatti, la creazione di un rapporto di parentela tra l'adottato e la famiglia dell'adottante, stante il perdurante richiamo operato dall' articolo 55 della legge n. 184 del 1983 all' articolo 300 c.c.
Giova premettere che la Consulta già nel 2021 con la sentenza n. 33 aveva ribadito la necessità di rendere effettivo il preminente interesse del minore e ha denunciato i limiti dell'istituto dell'adozione in casi particolari di cui all'articolo 44 comma 1 lettera d) della legge n. 184/1983, utilizzato nella prassi giudiziaria per garantire una forma di riconoscimento della filiazione, in mancanza di una normativa più adeguata, affermando l'urgenza di provvedere affinché il riconoscimento «venga reso più aderente alla peculiarità della situazione in esame», opportunamente assicurando «la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino», e precisando che quell'istituto dovrebbe essere disciplinato «in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame», pur pronunciandosi nel senso dell'inammissibilità delle questioni di illegittimità costituzionale sottopostele, al fine di lasciare al legislatore la scelta degli strumenti da adottare.
La Consulta con la sentenza n. 79 del 2022 ha escluso che l'articolo 55 potesse ritenersi tacitamente abrogato per effetto della modifica dell'articolo 74 c.c., introdotto dall' articolo 1, comma 1, della legge n. 219 del 2012 ed ha stabilito che la tutela dell'interesse del minore impone di garantire a tutti i bambini adottati il riconoscimento dei rapporti di parentela, anche nel caso di "adozione in casi particolari". Infatti, il minore adottato deve sempre assumere lo status di figlio e non può essere privato dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione "ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni". Non riconoscere i legami familiari con i parenti del genitore adottivo equivale a disconoscere l'identità del minore costituita dalla sua appartenenza alla nuova rete di relazioni familiari che di fatto costruiscono stabilmente il suo quotidiano.

Tribunale per i Minorenni di Sassari, decreto 18 gennaio 2022 - Pres. Vecchione, Giud. rel est. Zollo

2. MANTENIMENTO FIGLI MAGGIORENNI - Il figlio che chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile (Cc , articoli 147, 148, 315 bis, 337 septies)
Ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice del merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all'età dei beneficiari; tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, tenendo conto che il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori), com'è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione.
La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l'autonomia economica tramite l'impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità
Corte Appello di Bari. Sez. I, sentenza 16 agosto 2022, n. 1220 – Pres. Mitola, Giud. Aus. Rel. Caliandro

3. SUCCESSIONE - Con la rinuncia all'eredità il chiamato non può più essere considerato erede (Cc, articoli 433, 437, 438, 521, 559, 564, 724, 752, 754, 793, 2041 e 2042)
Con la rinuncia all'eredità validamente esercitata il chiamato non può più essere considerato erede neppure per il periodo intercorrente tra l'apertura della successione e la rinuncia, avendo l'atto abdicativo effetto retroattivo ex articolo 521 c.c., sicché egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato -e computato- tra i successibili, con la conseguenza che la successiva operazione di collazione ereditaria -alla quale sono reciprocamente tenuti i coeredi discendenti, essendo diretta ad accrescere la massa che deve effettivamente dividersi- deve avere luogo soltanto nei rapporti di quei coeredi che siano soggetti attuali della comunione ed abbiano, di conseguenza, titolo a concorrere nella divisione dell'asse.
II chiamato all'eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, neppure per il periodo intercorrente tra l'apertura della successione e la rinuncia e neanche se risulti tra i successibili ex lege o abbia presentato la dichiarazione di successione, che non costituisce accettazione, in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex articolo 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili.
• Corte d'Appello di Bari, Sez. I, sentenza 24 agosto 2022, n. 1255 - Pres. Mitola, Giud. Aus. Rel. D'Ambrosio

4. AFFIDAMENTO CONDIVISO – Negato il trasferimento all'estero alla madre con la figlia (Cc, articoli 337 ter e 337 sexies; Convenzione di New York del 20 novembre 1989; Carta di Nizza del 7 dicembre 2000)
In tema di affido condiviso, ove il genitore collocatario di un minore abbia la necessità di trasferire, per ragioni lavorative, la residenza propria e del figlio in altro luogo, il giudice non è chiamato a decidere se il genitore possa mutare la sua residenza (libera e non coercibile espressione di diritti di rango costituzionale), ma può impedire il trasferimento del minore. A tal fine egli deve rivalutare la situazione relativa all'affidamento, collocandola nel nuovo stato di fatto e, quindi, stabilire se corrisponda maggiormente all'interesse del minore seguire un genitore nel nuovo luogo di residenza o, mutato l'affidamento, restare con l'altro nel luogo precedente.
NOTA
Prima della riforma del 2013, che ha espressamente inserito la scelta della residenza abituale del minore tra le decisioni che i genitori devono assumere di comune accordo, la formulazione dell'articolo 155 quater codice civile (ora trasfuso nell'articolo 337 sexies), prevedeva per il mutamento di residenza un mero obbligo di comunicazione al partner.
E' questione di non poco conto che necessita adesso di un'autorizzazione da parte del Tribunale poiché incide sulle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale.
Nel caso di specie, la madre del minore non è stata autorizzata dal tribunale a trasferire la sua residenza all'estero, avendo vinto un posto a tempo determinato per un anno presso la la Corte di Giustizia Europea.
Infatti, il giudice non è chiamato a decidere se il genitore possa mutare la sua residenza che è libera ed è espressione di un diritto di rango costituzionale, ma può impedire il trasferimento del minore, valutando se corrisponda maggiormente all'interesse del minore seguire un genitore nel nuovo luogo di residenza o, mutato l'affidamento, restare con l'altro nel luogo precedente. Il principio è stato già affermato da una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. I, ord., 14 febbraio 2022, n. 4796).
Va inoltre precisato che il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell'altro coniuge, non perde - per ciò solo - l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, in quanto stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non coercibile opzione dell'individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Pertanto, ferma restando la libera scelta del genitore collocatario di trasferire la propria residenza in altro luogo unitamente ai minori, il giudice, ove non sia in discussione l'idoneità del medesimo genitore ad essere affidatario o collocatario dei figli, deve esclusivamente valutare se sia maggiormente funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario.

Tribunale di Brescia, decreto 14 luglio 2022 - Pres. Faraone, Giud. Rel. Tinelli

5. MANTENIMENTO DEI FIGLI – L'obbligato, per conseguire la decurtazione dell'assegno deve, o impugnare la sentenza, o chiederne la modifica
(Legge 898/1970, articolo 9; Cpc articolo 669 terdecies)
L'obbligato, per conseguire la decurtazione dell'assegno, deve chiedere la modifica della sentenza di divorzio, attraverso il procedimento camerale di revisione delle relative disposizioni contenute nella sentenza medesima, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9. E' da escludere la possibilità di conseguire questo risultato attraverso il rimedio dell'opposizione all'esecuzione, essendosi in presenza di un fatto successivo alla formazione del titolo, il cui accertamento non può non avere luogo nell'ambito del procedimento innanzi indicato, al quale deve necessariamente fare ricorso il soggetto del giudizio di divorzio che voglia conseguire la diminuzione della misura dell'assegno.
Tribunale di Mantova, 20 gennaio 2022 - Pres. Rel. Berardi

6. ASSEGNO DIVORZILE – Niente assegno divorzile se provata la convivenza more uxorio (Legge 898/1970, articolo 5)
L'assegno divorzile può essere modulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purché al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, si sommi, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale.
In materia di revoca dell'assegno divorzile disposto per l'instaurazione da parte dell'ex coniuge beneficiario di una convivenza more uxorio con un terzo, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto dell'eventuale coabitazione di essi, valutando l'insieme dei fatti secondari noti, nonché gli ulteriori eventuali argomenti di prova, rilevanti per il giudizio sulla sussistenza della convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo.
A fronte delle testimonianze rese in corso di causa e per la non imputabilità della pur esistente differenza tra le condizioni reddituali proprie delle parti alle scelte compiute da queste ultime in costanza di matrimonio, non è stata accolta la domanda con cui la resistente ha chiesto il riconoscimento di un assegno divorzile in suo favore.
NOTA
Con la sentenza n. 32198 del 5 novembre 2021, richiamata dalla sentenza veronese, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno perimetrato la sorte dell'assegno di divorzio in favore della ex moglie che abbia instaurato una stabile convivenza con un nuovo partner.
Secondo l'orientamento più risalente, affermatosi fin dall'entrata in vigore della disciplina introducente il divorzio nel nostro ordinamento, il diritto all'assegno non cesserebbe automaticamente all'instaurarsi di una nuova, duratura convivenza, pur potendo eventualmente essere rimodulato dal giudice nel suo ammontare.
Dal 2003 la giurisprudenza ha sposato una linea molto marcata affermando che il diritto all'assegno, per l'instaurarsi di una convivenza more uxorio, si estingue automaticamente e per l'intero, cessando per sempre e non prestandosi a rivivere neppure in caso di cessazione della convivenza. Si valorizza così il principio di autoresponsabilità: la scelta libera e consapevole di un nuovo rapporto comporta "l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo".
Le Sezioni Unite pur affermando che, allo stato attuale, l'instaurazione della nuova convivenza non comporta la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno, danno una nuova lettura al tema e pertanto, in caso si instauri una convivenza stabile, giudizialmente provata, deve ritenersi che essa valga ad estinguere, di regola, il diritto alla componente assistenziale dell'assegno di divorzio anche per il futuro, per la serietà che deve essere impressa al nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale.
Non altrettanto può dirsi per la componente compensativa. In caso di nuova convivenza il coniuge beneficiario non perde automaticamente il diritto all'assegno: questo potrà essere modificato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purchè al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, si dia nel caso concreto, la prova di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla tesi di una caducazione integrale.

Tribunale di Verona, sentenza 14 giugno 2002 n. 1129 – Pres. Guerra, Giud. Est. Quintilliano

7. SEPARAZIONE – Riconosciuto l'addebito per il marito violento (Cc Articolo 151)
In tema di separazione personale dei coniugi, l'aggressione dei diritti fondamentali della persona, quale l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge costituisce grave violazione dei doveri coniugali, ed in particolare del dovere di rispetto dell'altra persona. La violenza perpetrata nei riguardi dell'altro coniuge è sempre intollerabile e mai giustificata; essa consente di ritenere provato, ex se, il nesso causale tra la violazione del dovere coniugale di assistenza e solidarietà tra i coniugi, costituendo quindi, causa di addebito della separazione.
NOTA
La domanda di addebito è una domanda accessoria all'interno del procedimento di separazione personale dei coniugi. La disciplina legale, prevista dall' articolo 151, comma 2 c.c., prevede due condizioni: la domanda di parte e la violazione dei doveri coniugali.
La giurisprudenza afferma che il nesso di causalità tra la violazione dei doveri matrimoniali deve aver causato l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
I comportamenti idonei ad integrare la pronuncia di addebito sono molteplici, comprendendo sia la violazione degli articoli 143, 144 e 147 codice civile, costituenti il cosiddetto regime primario sia, più in generale, la lesione di diritti fondamentali della persona garantiti dall'ordinamento.
Si viola l'obbligo di assistenza e collaborazione, costituendo motivo di addebito, le aggressioni all'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, nonché la reiterata divulgazione di notizie false, di carattere diffamatorio, sul conto del coniuge.
La lesione dei diritti fondamentali della persona, concretizzatisi in violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, anche in un unico episodio, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri coniugali da ritenere provato, di per sé, il nesso causale tra la violazione del dovere coniugale di assistenza e l'intollerabilità della convivenza, costituendo quindi causa di addebito della separazione.
Si tratta di condotte che aggrediscono beni e diritti fondamentali della persona e superano la soglia di solidarietà e di rispetto necessaria e doverosa per la personalità del coniuge.

Tribunale di Ravenna, sentenza 24 marzo 2022 - Pres. Vicini, Giud. Est. Galante

8. CONTRATTO DI MANTENIMENTO – Natura aleatoria del contratto di mantenimento (Cc, articolo 1872)
Il contratto con il quale una parte si obbliga, dietro corrispettivo dell'alienazione di un immobile, a prestare all'altra, vita natural durante, l'assistenza materiale e morale, con l'esplicazione delle cure e dei servizi necessari ad assicurarne il benessere materiale e morale, rientra nello schema del contratto di mantenimento o anche denominato vitalizio oneroso, caratterizzato dalla finalità di assicurare una data prestazione al beneficiario, vita natural durante, quale corrispettivo della dazione di un altro bene, e dell'alea inerente alla data incerta della morte dello stesso beneficiario.
Tale contratto ha natura di contratto aleatorio, postulando l'esistenza di una situazione di incertezza circa il vantaggio o lo svantaggio economico che potrà alternativamente realizzarsi nello svolgimento e nella durata del rapporto.
Nel caso in esame, parte attrice chiedeva al giudice di dichiarare la nullità dell'atto per difetto di causa stante l'assenza di aleatorietà e proporzionalità tra le prestazioni dei contraenti.
Il Giudice ha rigettato la domanda posto che l'alienante per la sua età e le sue condizioni di salute, non lasciavano affatto ritenere che potesse morire da un momento all'altro e quindi, il contratto non era affatto privo di alea.
Tribunale di Benevento, sentenza 2 febbraio 2022 - Giudice Cusani

9. SEPARAZIONE DEI CONIUGI - Vessazioni subite dal minore a scuola, istanza del padre collocatario di iscrizione del figlio presso diverso istituto scolastico e dissenso materno (Cpc, articolo 709-ter)
Fondata l'istanza del genitore avente ad oggetto l'iscrizione del figlio minore presso un'altra scuola se questi ha subito vessazioni da parte dei compagni.
Nel caso in esame, in pendenza di una separazione il padre del minore ha chiesto ex articolo 709 ter c.p.c. il trasferimento ad altra scuola del figlio, mentre la madre non era d'accordo.
Il Giudice dopo aver ascoltato le dichiarazioni del minore ha accolto la domanda posto che occorre sempre cercare il suo miglior interesse.
Tribunale di Bologna, ordinanza 16 settembre 2022 – Giudice D'Addabbo

10. AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO – Istanza per apertura della procedura di amministrazione di sostegno rigettata se l'amministrando è lucido (Cc , articoli 404 e 407)
In tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l'interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell'amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in forma spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall'interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio di un'adeguata tutela, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello dell'autodeterminazione, e della dignità personale dell'interessato.
Tribunale di Bologna, decreto 19 luglio 2022 – Giudice Tutelare Materia

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©