Comunitario e Internazionale

Mae, l'Italia può rifiutare la consegna dell'extracomunitario "integrato"

La possibilità di eseguire la pena nello Stato membro di residenza deve applicarsi anche ai cittadini di paesi terzi. Lo ha chiarito la Corte Ue con la sentenza nella causa C-700/21

di Francesco Machina Grifeo

Più tutele per i cittadini non Ue raggiunti da un Mandato di arresto europeo. La possibilità di rifiutarne l'esecuzione per eseguire la pena nello Stato membro di residenza – in questo caso l'Italia - deve applicarsi anche ai cittadini di paesi terzi. Lo ha chiarito la Corte Ue con la sentenza nella causa C-700/21 aggiungendo che l'autorità giudiziaria deve poter valutare se il cittadino originario di un paese terzo sia sufficientemente integrato nello Stato membro e se esista quindi un legittimo interesse, anche guardando alla futura risocializzazione, a scontare la pena sul territorio senza essere estradato.

Il caso – Nel febbraio 2012, il Tribunale di primo grado di Brașov, in Romania, ha emesso un Mae nei confronti di un cittadino moldavo. Sebbene la difesa abbia dimostrato il suo stabile radicamento familiare e professionale in Italia, la Corte d'appello di Bologna aveva la mani legate in quanto priva della possibilità di rifiutarne la consegna alla Romania. Secondo la legge italiana di trasposizione della decisione quadro relativa al MAE, infatti, tale facoltà è limitata soltanto ai cittadini italiani e ai cittadini di altri Stati membri che presentino legami con l'Italia, ad esclusione dei cittadini di paesi terzi.

Tuttavia, considerando irragionevole tale disparità di trattamento, la Corte d'appello ha adito la Corte Costituzionale che a sua volta ha interpellato la Corte Ue per valutare la conformità della normativa italiana al diritto dell'Unione. Infatti, la decisione quadro relativa al MAE che prevede la possibilità per gli Stati membri di conferire al giudice la facoltà di rifiutare di eseguire il MAE qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadina o vi risieda (sempre che tale Stato si impegni a eseguire la pena conformemente al suo diritto interno) non circoscrive il suo ambito d'applicazione soltanto ai cittadini dell'Unione.

La motivazione - Con la sentenza di oggi, la Grande Sezione risponde che il diritto dell'Unione osta a una normativa di uno Stato membro che escluda in maniera assoluta e automatica dal beneficio della non esecuzione facoltativa del MAE qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione possa valutare i legami con lo Stato membro. In quanto integrerebbe una normativa contraria al principio di parità di trattamento sancito dalla Cedu.

Devono però verificarsi due condizioni. La prima è che la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadina o vi risieda. La seconda è che tale Stato si impegni a eseguire esso stesso, conformemente al suo diritto interno, la pena.

A questo punto però l'autorità giudiziaria deve ancora valutare se esista un legittimo interesse idoneo a giustificare che la pena venga eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione. Va ricordato infatti che l'obiettivo perseguito dalla decisione quadro relativa al MAE è quello di aumentare le possibilità di reinserimento sociale una volta scontata la pena.

Spetta quindi all'autorità giudiziaria dell'esecuzione effettuare una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione della persona ricercata, idonei a indicare se esistano legami tali per cui l'esecuzione della pena, in questo caso in Italia anziché in Romania, contribuirà al suo reinserimento sociale, e ciò alla luce dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro.

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