Penale

Mandato d'arresto europeo, dalla Consulta due rinvii pregiudiziali alla Corte Ue

Sottoposti al vaglio due casi per i quali l'autorità giudiziaria italiana può rifiutarsi di sare esecuzione al Mae

Spetta in primo luogo alla Corte di giustizia dell'Unione europea stabilire in quali casi - oltre quelli previsti dalla legge nazionale e dalla decisione quadro 2002/584/GAI - l'autorità giudiziaria italiana possa rifiutarsi di dare esecuzione a un mandato d'arresto europeo.
Sulla base di questo principio, la Corte costituzionale ha proposto due distinti rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia Ue con le ordinanze n. 216 e n. 217, depositate oggi (redattore Francesco Viganò).

La prima ordinanza
Nel caso della prima ordinanza, la Corte d'appello di Milano doveva decidere sull'esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dal Tribunale di Zara nei confronti di un cittadino italiano, perché fosse processato in Croazia per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Da una perizia medica disposta dalla Corte d'appello l'imputato era risultato affetto da una patologia psichica cronica e di durata indeterminabile, incompatibile con la detenzione in carcere. Poiché la legge italiana sul mandato di arresto europeo non prevede che l'autorità giudiziaria italiana possa rifiutare la consegna in una simile ipotesi, la Corte d'appello aveva chiesto alla Consulta di dichiarare l'illegittimità costituzionale della disciplina italiana, sostenendone tra l'altro il contrasto con il diritto alla salute, tutelato dagli articoli 2 e 32 della Costituzione.
La Corte costituzionale ha rilevato anzitutto che nemmeno la decisione quadro sul mandato d'arresto europeo prevede la possibilità di rifiutare la consegna di una persona in una simile ipotesi. Pertanto, i dubbi sulla compatibilità della legge nazionale con i diritti fondamentali dell'interessato non possono non investire anche la stessa disciplina della decisione quadro.
Tuttavia, la Corte ha osservato che, nelle materie oggetto di integrale armonizzazione normativa come il mandato di arresto, rientra in via primaria nel diritto dell'Unione "stabilire gli standard di tutela dei diritti fondamentali al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale". Ogni diversa soluzione pregiudicherebbe infatti, come più volte affermato dalla Corte di giustizia, il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione.
Conseguentemente, la Corte costituzionale ha ritenuto doveroso investire la Corte di giustizia della questione. In particolare, i giudici di Lussemburgo dovranno chiarire se e in che misura i principi e le procedure già stabiliti in relazione ad altri possibili motivi di rifiuto della consegna, non espressamente previsti dalla decisione quadro (come nelle ipotesi di sovraffollamento carcerario sistemico o di gravi problemi relativi al difetto di indipendenza del potere giudiziario all'interno dello Stato richiedente), possano estendersi anche all'ipotesi in cui la consegna potrebbe esporre l'interessato al pericolo di subire un grave pregiudizio alla propria salute.

La seconda ordinanza
Nel caso che ha dato luogo, invece, alla seconda ordinanza (n. 217), l'autorità giudiziaria rumena aveva chiesto la consegna di un cittadino di Stato non appartenente all'Unione europea, residente in Italia da almeno una decina d'anni e qui ormai stabilmente radicato, perché potesse scontare una pena di cinque di anni di reclusione in Romania. Anche in questo caso, la Corte d'appello aveva chiamato in causa la Consulta affinché dichiarasse l'illegittimità costituzionale della legge nazionale sul mandato di arresto europeo, nella parte in cui non prevede la possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di Stato terzo che abbia residenza legittima ed effettiva nel nostro Paese, subordinatamente all'impegno dello Stato italiano a eseguire in Italia la pena inflittagli.
La Corte costituzionale ha qui osservato che la decisione quadro europea è formulata in modo da lasciare liberi gli Stati membri di rifiutare la consegna di cittadini di Stati terzi ormai radicati nel territorio nazionale. Al contempo, la Corte ha preso atto che la legge italiana di trasposizione della decisione quadro ha stabilito che il rifiuto della consegna possa essere disposto solo in favore di un cittadino italiano o di un cittadino di altro Stato membro residente legittimamente ed effettivamente in Italia da almeno cinque anni, mentre nulla prevede nei confronti degli stranieri non UE.
Sorge pertanto la questione se l'obbligo indefettibile di consegnare un cittadino di Stato terzo, che pure risieda ormai stabilmente e legittimamente nel nostro Paese, leda il suo diritto alla vita privata e familiare, tutelato sia dall'articolo 2 della Costituzione, sia dall'articolo 8 della Convenzione europea, sia dall'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione.
Ancora una volta, però, la Corte ha ritenuto che la questione debba essere risolta anzitutto sul piano del diritto dell'Unione.
Pertanto, la Corte ha chiesto ai giudici di Lussemburgo se sia compatibile con il diritto fondamentale alla vita privata e familiare dell'interessato una normativa, come quella italiana, che precluda in modo assoluto e automatico di rifiutare la consegna di cittadini di Stati terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio; e, nel caso in cui ne sia ritenuta l'incompatibilità, sulla base di quali criteri e presupposti i legami della persona che si trova nel territorio italiano debbano essere considerati tanto significativi da imporre al nostro Stato di rifiutarne la consegna.

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