Per i reati internazionali un Codice di riferimento
Il Codice dei crimini internazionali, frutto della commissione Pocar-Palazzo istituita al ministero della Giustizia, interviene per assicurare che i crimini descritti dallo Statuto di Roma , con il quale è stata istituita la Corte penale internazionali, possano essere assoggettati alla giurisdizione italiana
In una stagione in cui anche il diritto deve prendere atto della necessità di strumenti adeguati per il perseguimento dei crimini internazionali, il consiglio dei ministri di ieri ha approvato il testo normativo destinato a essere punto di riferimento obbligato. Il Codice dei crimini internazionali, frutto della commissione Pocar-Palazzo istituita al ministero della Giustizia, interviene per assicurare che i crimini descritti dallo Statuto di Roma , con il quale è stata istituita la Corte penale internazionali, possano essere assoggettati alla giurisdizione italiana.
Dal punto di vista sistematico, il progetto si ispira al Codice penale, dal quale tuttavia si tiene distinto, con un titolo dedicato alle disposizioni di carattere generale e titoli successivi che comprendono più capi dedicati ai crimini, tra i quali il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, l’aggressione.
Quanto alle disposizioni generali, sono puniti secondo la legge italiana i crimini commessi nel territorio dello Stato, come pure quelli commessi dal cittadino italiano in territorio estero oppure dallo straniero ai danni dello Stato italiano o di un cittadino italiano. Il reato commesso all’estero dallo straniero non ai danni dello Stato italiano né di un cittadino italiano è punito secondo la legge italiana, a condizione che il colpevole si trovi in Italia e non sia estradato.
Quanto al tema assai delicato, visto il contesto, dell’immunità, il Codice sterilizza totalmente quella funzionale, decidendo che non opererà per i reati delineati nel testo, mentre invece si potrà applicare quella personale dei capi di Stato, capi di governo e ministri degli esteri durante il periodo in cui sono in carica, e delle altre persone alle quali il diritto internazionale espressamente riconosce l’immunità in relazione alla qualifica.
Altro punto critico è poi quello della rilevanza da dare all’ordine impartito dal superiore. Il Codice afferma che se un reato è commesso per ordine del superiore, civile o militare, del crimine risponde sempre colui che ha dato l’ordine. Risponde del crimine anche chi ha eseguito l’ordine, a meno che si tratti di ordine non sindacabile il cui carattere criminale non fosse noto o evidente. In ogni caso, l’ordine di commettere un crimine di genocidio o un crimine contro l’umanità previsto dal Codice si considera sempre manifestamente di carattere criminoso.
Ricordato che i reati previsti dal Codice non sono soggetti a prescrizione e che ne è stabilita la responsabilità anche a carico degli enti, estendendo il perimetro del decreto 231/01, il provvedimento si diffonde poi puntualmente nell’individuazione di una serie di fattispecie che assumono rilevanza e qualificazione di reato internazionale se commesse «come parte di un attacco esteso o sistematico contro una popolazione civile in esecuzione o a sostegno di un programma di uno Stato o di un’organizzazione». Tra queste spiccano i reati di deportazione o trasferimento forzato, di sparizione forzata e tortura, di persecuzione.
Nella lista dei crimini di guerra, in parte coincidenti con i precedenti, e tuttavia compiuti nel corso di un conflitto armato anche non internazionale, trovano posto anche lo sterminio, la cattura di ostaggi, l’arruolamento di minori e comunque la partecipazione forzata alle ostilità. E poi sotto il titolo di «Danni collaterali eccessivi», la sanzione da 10 a 24 anni di carcere per chi realizza un attacco nella consapevolezza che esso provocherà morti o feriti tra i civili o danni a beni di carattere civile oppure danni diffusi e gravi all’ambiente naturale, sproporzionati rispetto all’insieme dei concreti e diretti vantaggi militari previsti. E sempre a tutela dei civili i reati di privazione dei mezzi di sopravvivenza e di utilizzo come scudi umani.
Rettifica del sesso tra diritto e realtà in un necessario rapporto di scambio
di Giuseppe Finocchiaro - Professore di Diritto processuale civile presso l'Università di Brescia
Carceri e umanità delle pene, oggi un principio disabitato
di Vittorio Manes - Ordinario di Diritto penale nell'Università di Bologna e Direttore di "Diritto di difesa" - rivista dell'Unione delle Camere penali italiane