Penale

Per migliorare il sistema meno reati presupposto e un Pm «monitorato»

La ridotta applicazione nelle aule dei tribunali genera incertezza nel le imprese sull’adozione di modelli organizzativi 231

di Riccardo Borsari

A poco più di vent’anni dall’introduzione della responsabilità da reato degli enti, i tempi sono maturi per analizzare le incongruenze del sistema sul versante giudiziario. La ridotta applicazione nelle aule dei tribunali genera, infatti, incertezza nel le imprese sull’adozione di modelli organizzativi 231. È risaputo che l’onere di auto-organizzazione nelle realtà d’impresa rappresenta un fattore cruciale per l’ottimizzazione dei processi aziendali. Ma sul versante processuale ci sono meno certezze sui benefici, come l’esimente dalla responsabilità (articolo 6 del decreto 231) . Con la sentenza a conclusione dell’affaire Impregilo (n. 23401/2022), la Cassazione ha adottato un approccio auspicabilmente fecondo. È stato sancito un onere di motivazione rafforzato qualora il giudice decida di esprimersi sull’inidoneità di un modello redatto secondo le linee guida, imponendo di valutare se la commissione del reato sia stata determinata dal difetto di organizzazione contestato. Confermato anche che l’Organismo di Vigilanza non ha il potere di impedire la commissione dei reati, ma deve vigilare sull’attuazione del modello.

Malgrado la sentenza, resta un’ incertezza che pregiudica potenzialmente il sistema imprenditoriale. Un rischio meritevole di attenzione se si considerano i benefici che possono derivare da un ricorso virtuoso agli strumenti 231 pure nel contesto giudiziario. Esemplificativo è il caso Uber Italy, società incolpata del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, ove il tribunale aveva disposto la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria, secondo il Codice antimafia, per ricondurre l’attività di business nella legalità. Il Tribunale ha revocato anzitempo la misura di prevenzione proprio per l’attuazione di un piano di compliance 231 che ha profondamente innovato e migliorato gli assetti organizzativi, con ripercussioni anche sulle condizioni di lavoro del personale.

È dunque possibile intervenire sul fronte normativo per migliorare il sistema?

Alcuni hanno avvertito l’esigenza di snellire il catalogo dei reati presupposto, malgrado la tendenza opposta del legislatore. L’impulso ad allargare da un lato porta le imprese a gestire con difficoltà (anche di costi) il continuo aggiornamento dei modelli, dall’altro aggrava il carico di lavoro dell’Autorità giudiziaria. Lo conferma il calo dei procedimenti 231, malgrado l’espansione delle fattispecie dell’ultimo decennio. Da più parti si ritiene che asciugare il catalogo e mantenere i reati maggiormente indicativi della criminalità d’impresa permetterebbe agli enti di condurre risk assessment mirati su rischi effettivi implementando procedure più efficaci. Un approccio che consentirebbe anche alle Procure di concentrare meglio gli sforzi.

Altre proposte riguardano la gestione dei poteri d’azione dei pubblici ministeri, che non sempre annotano immediatamente, come previsto, la notizia dell’illecito amministrativo. E quand’anche il pm proceda, mantiene il potere di disporre autonomamente l’archiviazione. Si potrebbe dunque prevedere un controllo giudiziale sull’inazione nelle annotazioni e l’introduzione di un controllo sull’archiviazione da parte del Gip. Un intervento migliorativo sul decreto 231 potrebbe produrre concreti benefici per le imprese che volessero procedere a una ri-organizzazione per orientare ed eventualmente ristabilire la legalità dell’azione, anche a prescindere dal coinvolgimento in vicende giudiziarie.

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