Civile

Derivati, la Cassazione torna sui requisiti sostanziali di validità

Nota a Corte di Cassazione Civile, Sez. I, n. 24654

di Riccardo Lugaro*

La Corte di Cassazione torna sul tema dei requisiti sostanziali di validità dei derivati con una sentenza, depositata il 10 agosto scorso ( Cassazione Civile, Sez. I, n. 24654 ), che risulta sostanzialmente confermativa dei principi già affermati dalla pronuncia edita due anni or sono ( sentenza 8770/ 2020 ).

Non era plausibile attendersi un revirement da parte della Suprema Corte (dal momento che la precedente sentenza era stata pronunciata a Sezioni Unite) ma, quantomeno, sarebbe stato opportuno cogliere l'occasione per addivenire ad una chiarificazione di principi che rimangono oltremodo oscuri e che continuano a lasciare fortemente disorientati gli operatori del settore.

Ricordiamo che, secondo le pronunce in esame, "in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all'operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall'intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo".

La peculiarità del principio sopra citato non risiede nel fatto che ha elevato gli obblighi informativi a carico degli intermediari, dal momento che l'obbligo di fornire al cliente retail informazioni sul fair value, nonché analisi di scenario, era già stato previsto nel lontano 2009 con la Comunicazione Consob sui prodotti illiquidi (Comunicazioni Consob 9019104).

Piuttosto, colpisce nell'orientamento della Suprema Corte il fatto che tali obblighi informativi, ed in particolare i fantomatici "scenari probabilistici", siano stati elevati ad "oggetto" del contratto, con una commistione, ad avviso di chi scrive, indebita, tra una prospettiva de jure condendo ed una ricognizione de jure condito.

Mi spiego: l'oggetto del contratto è costituito dalle prestazioni che le parti negoziano ed inseriscono nel regolamento negoziale.

Ovviamente, trovandosi di fronte ad un contratto atipico, la Corte di Cassazione avrebbe dovuto, dapprima, riconoscere l'oggetto del contratto in quelle prestazioni che le parti effettivamente negoziano nella prassi e, successivamente, stabilire se tale oggetto fosse meritevole di tutela o meno.

Ebbene, nel caso dei prodotti derivati, l'accordo tra la parti si forma esclusivamente sulle prestazioni contrattuali e cioè sui tassi di interesse che le parti si impegnano a scambiarsi reciprocamente.

Nessuna delle parti, in concreto, negozia o anche semplicemente considera gli scenari probabilistici, al momento della stipulazione dell'accordo.
Non il cliente retail, il quale stipula solitamente i derivati con finalità di gestione del rischio e quindi con una funzione inversa rispetto all'andamento di tasso desiderato.
Nella sostanza, il cliente non è interessato a vincere o perdere la scommessa insita nel derivato, ma desidera semplicemente assicurarsi che tale scommessa sia coerente rispetto al profilo di rischio da coprire.

In ragione di ciò, tra l'altro, se il derivato è correttamente strutturato in una funzione di copertura (latu senso assicurativa) il desiderio del cliente è, paradossalmente, quello di perdere la scommessa insita nello strumento, perché ciò significa che non si è materializzato il rischio temuto (così come ciascuno di noi desidera perdere la scommessa insita nell'assicurazione sul rischio incendio, perché ciò significa che la propria casa non è andata a fuoco).

Ma gli scenari probabilistici non interessano nemmeno all'intermediario finanziario, il quale, a differenza di quanto forse erroneamente ritiene la Corte di Cassazione, non guadagna poiché dispone di fantomatici software che gli consentono di prevedere il futuro, ma semplicemente lucra sul differenziale tra il prezzo dello strumento, stipulato con il cliente, ed il prezzo dell'attività di copertura (così come la banca tradizionale lucra sul differenziale tra tasso attivo riconosciuto sui depositi e tassi passivi richiesti sui finanziamenti).

In queste condizioni, è evidente che la Cassazione ha individuato, addirittura, come oggetto del contratto derivato, un elemento (gli scenari probabilistici) che non solo le parti non negoziano concretamente, ma che le stesse nemmeno considerano nell'ambito delle valutazioni propedeutiche al contratto.

Il ché è francamente surreale, in quanto sarebbe come dire che l'oggetto del contratto di una compravendita immobiliare non sia il prezzo, né l'immobile compravenduto, ma un'analisi probabilistica di scenario sull'andamento futuro del mercato immobiliare, analisi che normalmente non realizzano né il venditore né il compratore.

Proprio alla luce di tali considerazioni, ci si è permessi in precedenza di affermare che le sentenze in oggetto hanno confuso una prospettiva de jure condendo con una prospettiva de jure condito, in quanto le medesime non hanno considerato il reale oggetto dei contratti derivati stipulati nella prassi, ma hanno individuato, come oggetto del contratto, un elemento, che le parti non valutano mai, ma che, secondo la Suprema Corte, dovrebbe essere valutato e negoziato.

Il risultato di tale impostazione è il disorientamento degli operatori, perché la nuova norma, sostanzialmente statuita dalla Cassazione, è rimasta sostanzialmente indefinita nel contenuto: cosa significa che il contratto deve prevedere gli scenari probabilistici? Quali informazioni vanno inserite nel regolamento contrattuale? Secondo quali criteri questi fantomatici scenari probabilistici debbono essere redatti?

Il tutto in un sostanziale disallineamento anche con la normativa secondaria di Consob.

Non stupisce che, con l'avviso del 3 febbraio 2022, l'autorità di vigilanza abbia formalmente revocato le Comunicazioni Consob 9019104 e 00997996. Tali comunicazioni erano all'evidenza difficili da conciliare con i principi statuiti dalla Cassazione, proprio sul tema degli scenari probabilistici.

A titolo esemplificativo, un intermediario che, tra il 2009 ed il 2020, abbia rispettato alla lettera le prescrizioni Consob (fornendo ad esempio al cliente retail le risultanze di scenario basate su approccio deterministico) si troverebbe oggi esposto al rischio di nullità di un derivato perché la Cassazione, undici anni dopo le comunicazioni Consob, ha contraddetto l'opinione dell'autorità di vigilanza, statuendo l'obbligo di analisi probabilistiche.

Simili considerazioni renderebbero consigliabile, se non un ripensamento, quantomeno un chiarimento da parte della Suprema Corte sul significato da attribuire ai principi di diritto statuiti dalle Sezioni Unite.

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*A cura di Riccardo Lugaro, partner Studio legale Giuseppe Iannaccone e Associati

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