Civile

Animali in autostrada, l’Anas risarcisce i danni all’utente solo se manca diligente manutenzione

La Cassazione marca un punto d’arrivo sulla verifica che il fatto imprevedibile possa essere ascritto a caso fortuito che libera il custode - cioè l’ente gestore del tratto autostradale - dalla responsabilità civile verso il danneggiato

di Pietro Alessio Palumbo

Sul caso della presenza di animali in carreggiata, la Cassazione con l’ordinanza n. 27068/20252 ha tracciato i confini del perimetro della responsabilità del gestore autostradale nei confronti degli utenti.

La Corte di cassazione civile ha espressamente dettato un principio di diritto destinato a incidere profondamente sulla responsabilità dell’ente gestore delle autostrade: la presenza di un animale randagio in carreggiata può integrare il caso fortuito liberatorio ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile se l’ente dimostra di aver esercitato un controllo diligente e costante sulla sede stradale e sulle opere di recinzione.

L’innovazione della pronuncia non risiede tanto nell’esito — cioè il rigetto del ricorso del danneggiato — quanto nella costruzione del nesso tra custodia e imprevedibilità, qualificato come rapporto dinamico e non statico.
Non basta un evento imprevedibile a integrare il caso fortuito: occorre che il custode dimostri l’esistenza di un sistema di vigilanza efficiente e proporzionato al rischio concreto. In tal modo, la Cassazione ridefinisce la responsabilità da cosa in custodia, spostando l’accento dalla potenzialità di controllo, alla concretezza del comportamento manutentivo, e ponendo un limite razionale alla tendenza oggettivistica della norma.

Il caso concreto

Siamo sulla Palermo-Trapani. La carreggiata scorre liscia, poi una sagoma attraversa la corsia. Un colpo secco, un urto, l’auto si ferma, il conducente scende, un cane giace sull’asfalto. L’incidente sembra una triste casualità, ma il proprietario non si arrende: l’autostrada doveva essere sicura, recintata, protetta. Il giudice di pace gli dà ragione, poi l’appello rovescia tutto: l’ente gestore non è colpevole, ha vigilato come doveva. Si arriva così al terzo grado: la Corte di Cassazione viene chiamata a decidere se il caso fortuito possa liberare il custode dalla sua responsabilità. La questione è sottile: l’ente gestore è responsabile per l’imprevedibile?

Il principio di diritto

La Suprema Corte risponde rinnovando la categoria del caso fortuito. Non ogni evento estraneo interrompe la relazione di custodia: lo fa solo quello ‘radicalmente’ imprevedibile contro cui neppure la più attenta diligenza può valere. Se l’ente dimostra controlli costanti, integrità delle recinzioni, manutenzione regolare e verifiche documentate, il sinistro causato dall’irruzione improvvisa di un animale randagio assume le caratteristiche del caso fortuito liberatorio. La custodia non è onnipotenza, ma capacità di prevenire ciò che è ipotizzabile e gestibile. La prova liberatoria grava sul custode e consiste nella dimostrazione dell’adozione di un sistema di vigilanza efficiente e congruo, idoneo a prevenire danni presagibili. La responsabilità si sposta dal piano della colpa presunta a quello della ragionevolezza e proporzionalità dell’azione preventiva. Di rilievo è la distinzione rispetto a un precedente sullo stesso tratto autostradale. La Corte sottolinea che la giurisprudenza non è vincolo, ma metodo: contano i fatti non le etichette. Nel precedente citato vi erano varchi nella recinzione, qui no. Tale diversità restituisce al giudice di merito la piena sovranità dell’accertamento, riaffermando la centralità del concreto nella giustizia civile. Il diritto non è un algoritmo, ma un equilibrio tra principio e realtà. Questa decisione si inserisce in una linea evolutiva che definisce la responsabilità del custode come funzione di tutela attiva, ma non assoluta. Se l’ente gestore dimostra diligenza costante, non può essere responsabile per eventi imprevedibili.

In questa sintesi tra ragione e rischio, la Cassazione restituisce alla norma l’equilibrio originario. Il giudice è chiamato a un’analisi complessa che contemperi la tutela del danneggiato con la consapevolezza dei limiti della custodia.

L’ordinanza della Suprema Corte diviene quindi un punto di riferimento per gli operatori del diritto segnando un’evoluzione giurisprudenziale che valorizza la concretezza e la dinamica dell’agire preventivo senza rinunciare alla tutela effettiva degli utenti. Invita a un approccio sostanziale che esiga dal custode la prova dell’efficienza e congruità delle misure adottate escludendo responsabilità automatiche e favorendo una giustizia più equilibrata e adeguata ai rischi reali della gestione delle infrastrutture autostradali. Tale insegnamento giuridico si pone come monito affinché la responsabilità non sia uno strumento punitivo fine a sé stesso ma un criterio di valutazione ragionata e proporzionata dell’azione umana nel contesto della custodia di beni complessi.

Si tratta, in definitiva, di un insegnamento fondamentale per il sistema processuale, che richiama gli operatori del diritto a privilegiare la valutazione del contesto fattuale e delle misure concrete poste in essere. La pronuncia sollecita un giudizio non solo sulla presenza o assenza dell’evento dannoso, ma sulla qualità e sistematicità dell’attività di prevenzione, considerata non come onere astratto, ma come obbligo concreto funzionale alla reale riduzione dei rischi. L’ordinanza, pertanto, segna un avanzamento nell’interpretazione della responsabilità del custode ex articolo 2051 del Cc, invitando a una lettura più articolata e aderente alla complessità della realtà, capace di contemperare tutela dell’utente e ragionevoli limiti di responsabilità.

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