Appalto e interposizione illecita di manodopera, la Cassazione detta i limiti di intervento del committente
Nota a Corte di Cassazione, Sez. L Civile, ordinanza 16 giugno 2025, n. 16153
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16153 del 16 giugno 2025 ha chiarito alcuni aspetti dei rapporti tra contratto di appalto e interposizione illecita di manodopera, soffermandosi, in particolare, sui limiti di intervento del committente rispetto alla realizzazione del servizio oggetto di appalto.
Nei fatti, un lavoratore ha presentato ricorso giudiziale al fine di chiedere, tra le altre, l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società committente del contratto di appalto cui era stato adibito, oltre al pagamento di differenze retributive.
La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la predetta domanda; ha, infatti, ritenuto esistente il rapporto di lavoro subordinato soltanto alle dipendenze della cooperativa da cui era stato formalmente assunto – condannandola quindi a pagare le differenze retributive - e ha ritenuto non sussistente alcuna responsabilità della società committente, ritenendo genuino l’appalto cui era stato adibito il ricorrente.
Il ricorrente ha presentato ricorso avverso tale pronuncia dinnanzi alla Corte di Cassazione, la quale chiarisce anzitutto che se è vero che il legislatore delegato ha consentito che l’appaltatore - in relazione alle peculiarità dell’opera o del servizio – possa anche limitarsi a mettere a disposizione del committente la propria professionalità, intesa come capacità organizzativa e direttiva delle maestranze a prescindere dalla proprietà di macchine ed attrezzature, ai fini della liceità dell’appalto è necessario che l’appaltatore organizzi il processo produttivo con impiego di propria manodopera, esercitando verso i lavoratori impiegati nell’appalto un potere direttivo effettivo e non meramente formale.
Sul punto, preme considerare che ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 i presupposti necessari del contratto di appalto sono
- (i) l’organizzazione dei mezzi da parte dell’appaltatore, che in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto può risultare anche dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto e
- (ii) l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore (“il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”). Pertanto, è da considerarsi legittimo l’appalto nel quale l’apporto di attrezzature e di capitale risulti marginale rispetto a quello delle prestazioni di lavoro purché l’appaltatore continui ad esercitare in via esclusiva il potere direttivo e organizzativo sul personale impiegato. Occorre effettuare una valutazione in concreto in base al tipo di attività oggetto del contratto; può, infatti, ritenersi compatibile con un genuino contratto d’appalto il fatto che il committente indichi le modalità tecniche e temporali con cui gli ausiliari dell’appaltatore devono eseguire le attività finalizzate alla realizzazione dell’opera o del servizio; è, quindi, rilevante verificare se le disposizioni impartite dal committente sono riconducibili all’esercizio del potere datoriale oppure alla mera indicazione delle modalità operative per la realizzazione delle prestazioni oggetto del contratto di appalto (Cass. 10 giugno 2019 n. 15557).
Nel caso in esame, la Suprema Corte chiarisce che si configura la fattispecie della intermediazione illecita di manodopera tutte le volte in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa rimanendo in capo allo stesso, in quanto datore di lavoro, soltanto i compiti di mera gestione amministrativa del rapporto di lavoro (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione etc.), senza avere alcuna reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.
Partendo dall’assunto di cui sopra, secondo la Corte di Cassazione, come accertato anche dai giudici di merito, non osta alla genuinità del contratto di appalto la circostanza che il committente emetta determinazioni di ordine generale (come determinare le zone di consegna) purché le stesse siano volte ad individuare caratteristiche necessarie del servizio e non a regolare tempi e modi della prestazione dei lavoratori (nel caso di specie autisti). In altri termini, non osta alla genuinità dell’appalto la presenza di indicazioni di carattere generale (fornite all’appaltatore o al personale dallo stesso delegato) riferibili alla fase di attuazione del contratto che non integrino alcun “ordine” impartito al personale dell’appaltatore.
Secondo la Corte è, altresì, compatibile con un appalto lecito la circostanza che il committente fornisca ai dipendenti dell’appaltatore talune dotazioni (quali, ad esempio, il telefono cellulare, il palmare) necessarie per assicurare la corretta esecuzione dell’attività, anche perché l’utilizzo di tali dotazioni non implica, di per sè considerato, alcuna intromissione nella organizzazione e nella direzione dei lavori appaltati.
La Suprema Corte ha, quindi, ribadito che è compatibile con un appalto genuino anche la possibilità per il committente di verificare/supervisionare le modalità esecutive del contratto, ha rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendo sussistente, nel caso in esame, un autonomo potere organizzativo dell’appaltatore nella gestione e prestazione dei servizi.
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*Vittorio Moresco (Partner) e Giulia Maccioni (Associate), Team Employment - Hogan Lovells
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