Lavoro

Il “raffreddamento” della rivalutazione delle pensioni non è un prelievo tributario

Lo ha chiarito la Corte costituzionale con la sentenza n. 167 depositata oggi

Con la sentenza numero 167, depositata oggi, la Corte costituzionale ha chiarito che il meccanismo di “raffreddamento” della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps, previsto dall’articolo 1, comma 309, della legge numero 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023), non introduce un prelievo di natura tributaria.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, in composizione monocratica, aveva dubitato della compatibilità della disposizione censurata con i principi di eguaglianza tributaria, di ragionevolezza e temporaneità, complessivamente presidiati dagli articoli 3 e 53 della Costituzione.

La Corte ha ribadito principi già espressi in precedenti pronunce, che avevano scrutinato meccanismi anche più severi di rallentamento – e finanche di azzeramento – dell’adeguamento delle pensioni alla dinamica inflazionistica.

Ha quindi escluso la ricorrenza dei requisiti enucleati dalla giurisprudenza costituzionale per poter qualificare una fattispecie come avente natura tributaria.

In particolare, la rivalutazione comunque accordata dalla disposizione censurata non configura una decurtazione del patrimonio del soggetto passivo, nonostante il “trascinamento” nel tempo dei relativi effetti. La pensione già percepita, infatti, viene comunque incrementata, seppure in percentuale più bassa rispetto al regime ordinario di perequazione automatica.

Inoltre, la disposizione censurata mira a conseguire un risparmio sulla spesa pensionistica e non anche a produrre l’effetto tipico di ogni fattispecie tributaria, consistente in un incremento di risorse destinato a finanziare direttamente pubbliche spese.

Infine, la Corte ha precisato che, diversamente da quanto sostenuto dal rimettente, il principio di necessaria temporaneità è stato sancito nella giurisprudenza costituzionale con riferimento al cosiddetto “contributo di solidarietà” imposto ai trattamenti pensionistici più elevati, che è istituto ben diverso rispetto ai meccanismi di riduzione dell’adeguamento all’inflazione. Tali meccanismi devono piuttosto risultare conformi ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, e tale giudizio di conformità è già stato espresso dalla sentenza numero 19 del 2025 sulla misura in esame.

La Corte ha tuttavia ribadito l’invito già rivolto al legislatore affinché in futuro: (a) si tenga conto degli effetti prodotti dalla disposizione in esame, nel regolare la portata di eventuali successive misure incidenti sull’indicizzazione dei trattamenti pensionistici, (b) il regime ordinario di perequazione automatica delle pensioni venga interessato con estrema prudenza da cambiamenti improvvisi, incidenti in senso negativo sui comportamenti di spesa delle famiglie, e (c) si adotti un approccio diversamente calibrato rispetto ai pensionati soggetti al sistema contributivo, quest’ultimo caratterizzato dalla tendenziale corrispettività tra montante contributivo e misura del trattamento previdenziale liquidato.

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